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MessaggioInviato: 11 settembre 2009, 17:28
Avatar utenteMessaggi: 2486Iscritto il: 23 giugno 2006, 1:46
io penso che ci siano i costi di produzione troppo alti, uniti magari a qualche eccesso di guadagno e alle troppe tasse.
Internet fa la sua parte ma onestamente i cd originali a 12-13 euro li comprerei sempre
Sici


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MessaggioInviato: 11 settembre 2009, 20:13
Avatar utenteMessaggi: 4314Località: leccoIscritto il: 18 luglio 2009, 23:29
<) questo è il problema non possono mettere in circolazione cd a prezzi troppo alti , se fossero piu' contenuti io sarei il primo a comprarli mentre adesso compro solo quelli che mi interessano di piu' <)


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MessaggioInviato: 11 settembre 2009, 20:18
Messaggi: 4076Località: SALERNOIscritto il: 5 maggio 2008, 23:29
Un cd di ultima uscita non dovrebbe costare piu' di 12-13 euro,quelli di catalogo max 10, un biglietto per un concerto non dovrebbe aggirarsi al di sopra dei 30 euro ed e' gia' tanto, se si vuole che la musica riprenda la sua centralita', il suo ruolo culturale,sociale,aggregante, bisogna che chi muove i fili faccia non uno ma due,tre passi indietro, non e' giusto non permettre a chi non se lo puo' permettere di non poter ascoltare musica!Non e' giusto che nell'industria discografica c'e' chi guadagna il 200 per cento sulla vendita dei cd o dei biglietti, chi ci rimette alla fine sono gli appassionati,sopratutto le categorie tipo studenti o precari, o padri di famiglia che un concerto o piu' di un paio di cd al mese non possono permetterseli...Basta!


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MessaggioInviato: 12 settembre 2009, 2:25
Avatar utenteMessaggi: 4314Località: leccoIscritto il: 18 luglio 2009, 23:29
<) Sono d'accordo su tutto tranne che per i concerti c'è concerto e concerto , i concerti da stadio ad esempio sono veri spettacoli e quindi è normale che i biglietti abbiano un costo piu' elevato. Poi a me non frega niente di spendere 150 e per vedere gli stones.Sono altre le cose che fanno incazzare! <) C'e' chi li vale! <)


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MessaggioInviato: 18 settembre 2009, 11:52
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Concerti e prevendite: parla Roberto De Luca (Live Nation)


Biglietti in vendita (sia pure per un solo giorno) senza alcuna commissione.
Promozioni che nel prezzo del biglietto includono un buono per il parcheggio gratuito, per una bibita e per un panino . Tessere che danno accesso scontato per un anno ai club convenzionati e facenti parte del circuito. Live Nation, il colosso multinazionale della musica dal vivo, si è messo in moto per rispondere alle richieste (e alle proteste) dei consumatori, che oggi hanno meno soldi in tasca di prima e manifestano segni di nervosismo a fronte della molteplicità di voci di spesa che incidono sui prezzi dei concerti. E in Italia? “In Italia queste cose le abbiamo già fatte”, spiega l’ad di Milano Concerti (controllata da Live Nation) Roberto De Luca. “Nel prezzo di ingresso all’Heineken Jammin’ Festival, per esempio, è incluso il campeggio. Altre volte ho concesso gratuitamente i parcheggi. E per il concerto ‘Amiche per l’Abruzzo’ la prevendita non si pagava. Quando se ne presenta l’occasione, quando la situazione lo consente e intervengono accordi particolari, concedo volentieri degli incentivi e delle facilitazioni al pubblico”. De Luca dice di non essere al corrente dell’iniziativa lanciata dalla Live di Andrea Pieroni. “Ma vendere un biglietto in prevendita, ricordiamocelo, non è una cosa semplicissima. Mettere in piedi una piattaforma che soddisfi decine di migliaia di richieste al giorno costa parecchio denaro, il funzionamento di un’organizzazione come TicketOne non può essere remunerato dal costo netto del biglietto. Impiegare dei dipendenti e fare promozione costa dei soldi. E anche quando il biglietto in prevendita lo vende un negozio di dischi ci vuole qualcuno che stacchi i tagliandi alla cassa, che contabilizzi le entrate e risponda alle telefonate. Anche mandare una persona in giro per la città a distribuire biglietti ai punti vendita, come oggi si fa sempre meno frequentemente, comporta un esborso monetario. Altrettanto costa recuperare l’invenduto e incassare il denaro, col rischio di essere rapinati: a me è successo”.
Ma intanto i soldi incassati in anticipo finiscono in banca, e fruttano degli interessi… “Gli interessi? Sui conti correnti, se non sbaglio, oggi siamo intorno all’uno e mezzo per cento. E poi bisogna vedere in quale banca finiscono, i soldi. Il 90 per cento delle volte vanno sul conto corrente dell’artista, a cui io pago un garantito magari con sei mesi d’anticipo. E allora gli interessi li incassa lui, mentre io mi sobbarco solo quelli passivi, e magari devo anche chiedere un prestito alla mia banca perché in quel momento sono carente di liquidità… Insomma, gli interessi bancari sui biglietti sono una cosa su cui personalmente non ho mai contato. E poi il punto centrale è un altro: nessuno obbliga il consumatore a comprare il biglietto in anticipo. Può sempre comprarlo il giorno del concerto, se decide di accettare il rischio di non trovarlo o di doversi rivolgersi ai bagarini”. Comprare in prevendita, in un certo senso, è una forma di assicurazione contro questo tipo di rischi. Ma perché se poi il concerto salta la prevendita non viene rimborsata? “E chi l’ha detto? Non so come si comportino i concorrenti, nei rari casi in cui un mio concerto sia stato annullato per cause di forza maggiore io ho sempre garantito il rimborso. Quando è saltata l’edizione 2007 dell’Heineken Jammin’ Festival ho restituito l’incasso che avevo realizzato sui 175 mila biglietti venduti. Diritti di prevendita compresi”.
Che per De Luca non solo sono indispensabili, ma non possono neppure essere ridotti di entità: “Il sistema ha un fondamento razionale, se così non fosse non funzionerebbe. Vendere in anticipo sul giorno del concerto è necessario, se no come lo riempi uno stadio?”. E le richieste di trasparenza che arrivano dal mercato? “Sul tagliando sta scritto il prezzo d’ingresso allo spettacolo, quello della prevendita, dove si comprano i biglietti. C’è scritto tutto, più trasparente di così. Fondamentalmente io gestisco un negozio, e la mia merce sono i biglietti. Se vai da un salumiere e compri un etto di prosciutto non hai tutte quelle informazioni sull’acquisto che hai fatto”. Il ceo di Live Nation torna a ribadire una posizione più volte espressa in passato: “Io non concordo e non solidarizzo con chi predica la diminuzione del prezzo dei biglietti. Non possono costare poco: noi non entriamo in uno stadio con scarpette e pallone, ci andiamo con decine di bilici, impianti luce che pesano tonnellate, scenografie complesse. Considerato questo, i biglietti non sono cari. Teniamo conto del fatto che non abbiamo sovvenzioni e che non lavoriamo per beneficenza, esattamente come la Fiat o la Barilla. E il fatto che il secondary ticketing cresca d’importanza anche in Italia vuol dire proprio questo: c’è gente che, pur di non fare la coda o passare ore al computer, è disposta a spendere il doppio e anche di più. Allora i biglietti non sono cari come tutti dicono. E mi pongo un’altra domanda: perché devono guadagnarci dei terzi, invece del promoter e dell’artista che sono gli unici ad averne diritto?”.


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MessaggioInviato: 23 settembre 2009, 10:27
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Concerti e prevendite: la parola a Joe Cohen (Seatwave)


E’ sulla bocca di tutti: Seatwave, il più in vista tra i siti che in Europa trattano la compravendita di biglietti di spettacoli e concerti, è ormai additato da molti promoter come il nemico pubblico numero uno. Ma è anche una società che opera (fino a prova contraria) nella legalità, e con grande successo. “La nostra sede centrale è a Londra, ma abbiamo siti in lingua locale anche in Germania, Spagna, Francia, Olanda e Italia”, racconta a Rockol il fondatore e amministratore delegato della società, Joe Cohen. “Abbiamo iniziato l’attività soltanto nel febbraio del 2007: dunque siamo ancora molto giovani, non abbiamo neanche compiuto tre anni. Secondo ComScore, lo scorso mese di luglio abbiamo toccato complessivamente un milione e mezzo di utenti unici. Di questi la metà circa risiede nel Regno Unito, il resto negli altri paesi con l’Italia e la Germania come capofila”. Quando e come ha avuto l’idea, mr. Cohen? “Ho aperto questa attività per conto mio dopo essere stato responsabile di Ticketmaster in diversi mercati europei. Mi ero reso conto che un sacco di gente comprava biglietti sul mercato ‘secondario’, ma che sussistevano due ordini di problemi. In primo luogo le transazioni non erano sicure: poteva succedere di comprare un biglietto on-line e di non vederselo recapitare. E poi i prezzi erano troppo alti: noi abbiamo usato il potere del mercato per costringere i rivenditori a competere tra di loro. Il nostro modello di business si basa sulla vendita effettiva dei biglietti. Più i prezzi calano, maggiore è il numero di biglietti venduti e di conseguenza anche il nostro guadagno. Il nostro interesse coincide con quello di chi acquista, con l’interesse del consumatore”.
Seatwave prospera applicando una doppia commissione ad ogni transazione: “Il 15 % lo addossiamo al compratore, il 10 % al venditore. Se viene venduto un biglietto a 100 euro, per esempio, noi ne incassiamo 115 e ne versiamo 90. Ma se il biglietto non viene venduto, non ci guadagniamo niente”. Il sistema, dice Cohen, funziona con piena soddisfazione di tutti. Com’è allora che sul sito circolano talvolta prezzi astronomici? C’è già chi vende a 500 euro i posti migliori per il concerto di Vasco Rossi il 6 ottobre a Pesaro, valore nominale 69 euro. “Ma stiamo parlando di biglietti che non sono stati venduti”, ribatte l’ad di Seatwave. “Sul sito indichiamo anche i tagliandi effettivamente venduti e il prezzo medio delle contrattazioni. Per gli show che Vasco Rossi terrà a Milano nel febbraio 2010, per esempio, il prezzo medio dei biglietti che si trovano sul sito è attualmente di 95 euro. Per questo un’offerta a 500 euro è ridicola, assurda. I nostri clienti sanno bene di potersi procurare il tagliando a un prezzo notevolmente inferiore, diciamo sotto i 100 euro. E’ questo che intendo per concorrenza tra i venditori: chi ha fatto un’offerta troppo alta è costretto ad abbassare le sue pretese”.
Ma perché il secondary ticketing ha conosciuto questa esplosione senza precedenti? Merito di Internet o colpa delle inefficienze del sistema di distribuzione tradizionale? “Credo che il vantaggio competitivo di società come Seatwave sia quello di applicare un sistema di prezzi dinamico, variabile, al proprio business: un po’ come fanno altre società in altri settori industriali, ad esempio le compagnie aree low cost. Le loro politiche di prezzi sono vent’anni avanti rispetto all’industria della musica dal vivo. Il nostro ulteriore punto di forza è che esiste un solo Vasco Rossi, non c’è una vera alternativa sul mercato: in ogni dato momento, la richiesta di assistere a una sua performance è superiore all’offerta. La mia opinione è che l’industria tradizionale non abbia ancora capito appieno gli orientamenti del mercato e i meccanismi con cui si forma il prezzo”.
Seatwave si promuove sul suo sito come un luogo in cui i fan incontrano altri fan. Ma, restando al caso di Vasco Rossi e del suo concerto a Pesaro, sono già in vendita un centinaio di biglietti. Possibile che siano tutte transazioni individuali, che dietro non si nasconda qualche broker il cui unico scopo è quello di lucrare? “Con le migliaia di transazioni che avvengono sul sito e con un milione e mezzo di clienti è impossibile verificare il comportamento di ognuno. C’è gente che specula? Sicuramente sì. Ma i broker e gli speculatori sono sempre esistiti, e prima che arrivassimo noi sfruttavano il consumatore molto più di oggi. La nostra piattaforma e i nostri strumenti permettono al pubblico di esercitare un controllo molto maggiore sul mercato. Noi garantiamo che i biglietti messi in vendita siano legittimi, e che arrivino al destinatario. Abbiamo successo perché rispondiamo a una esigenza del mercato. Oggi le prevendite di molti eventi avvengono con sei mesi di anticipo: quando la maggioranza della gente viene a sapere del concerto c’è il rischio che sia già sold out. Su Seatwave il pubblico sa di avere una seconda possibilità, di poter scegliere dove e quando vedere il suo artista preferito, e da quale postazione. Mentre chi acquista in anticipo ha la garanzia di recuperare i soldi spesi, se poi non ha modo di recarsi al concerto. Grazie a noi, il consumatore ha una gamma di opzioni che non aveva mai avuto prima. Investiamo molto in marketing e promozione, ma la ragione principale della nostra crescita è il passaparola. Chi compra o vende su Seatwave ci ritorna spesso e lo consiglia agli amici”.
Eppure i promoter lo vedono come il fumo negli occhi, e persino il governo inglese ha aperto un’inchiesta sul secondary ticketing… “Bisogna distinguere le due cose. Quando si sono addentrati nella questione, i funzionari governativi si sono resi conto che società come Seatwave forniscono un servizio utile e conveniente alla collettività e al consumatore. Quanto ai promoter, dal primo giorno noi ci siamo dichiarati disposti a spartire con loro e con gli artisti una parte ragionevole dei nostri introiti. E’ anche accaduto, in qualche occasione, ma in generale il loro punto di vista è che a loro spetta la torta intera, i 100 euro del biglietto di cui parlavamo prima. Non lo ritengo giusto, dal momento che abbiamo preso l’iniziativa per primi, investito milioni di sterline nella costruzione di questo business e nello sviluppo di un mercato legittimo. Abbiamo diritto di guadagnarci anche noi. Abbiamo iniziato a discuterne con qualche operatore, concludendo qualche accordo. Ma altri insistono nel volere tutto, e con quelli non c’è margine di discussione. E’ come se gli editori o i rivenditori di libri avessero cercato di bloccare Amazon sul nascere. Il mondo non funziona così, le cose bisogna guadagnarsele”. E se le proponessero di comprare Seatwave? Quanto vale la società? “Non forniamo dati sul fattturato, posso solo dire che in tre anni si è incrementato di oltre il 2000 per cento, e che contiamo quest’anno di vendere biglietti per un valore di 100 milioni di euro. Collaborare con noi, a un promoter, costerebbe sicuramente meno che comprare la società, e sarebbe anche redditizio. Ma quanto valga la società oggi non lo so dire, nessuno ha ancora bussato alla mia porta con un’offerta concreta”.


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MessaggioInviato: 23 settembre 2009, 10:28
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Addio a Freddy Bienstock, editore di Elvis Presley



E’ morto a New York, all’età di 86 anni, Freddy Bienstock, figura storica dell’editoria musicale mondiale. Nato in Svizzera, cresciuto a Vienna ed emigrato negli Stati Uniti alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, Bienstock iniziò la carriera come magazziniere presso la Chappell & Co. Passato poco dopo alla Hill and Range Songs dei suoi cugini Julian e Jean Aberbach, iniziò una stretta e proficua collaborazione con Elvis Presley, consigliandolo sulle canzoni da incidere: la connessione si rinforzò ulteriormente nel 1969 quando entrò in società (nella Hudson Bay Music Company) con Jerry Lieber e Mike Stoller, autori di classici presleyani come “Jailhouse rock” e “Hound dog”. Tre anni prima aveva acquisito la Belinda Music, affiliata inglese della Hill and Range, ribatezzandola Carlin Music in omaggio alla figlia Caroline (che oggi ne ricopre l’incarico di chief operating officer negli Stati Uniti). Attraverso quella società e altre acquisizioni e joint venture in America costruì un piccolo impero indipendente, controllando i copyright di oltre 100 mila brani tra cui evergreen come “Fever”, “Body and soul”, “Dedicated to the one I love”, “Under the boardwalk”, “What a wonderful world” e “Malaguena”, e componendo un roster di autori/artisti che includeva Bobby Darin, Tim Hardin, John Sebastian, Ray Davies dei Kinks, Cliff Richard e gli Animals. Negli anni Ottanta divenne anche presidente e principale azionista della Chappell, la società in cui aveva iniziato il suo apprendistato e che vendette poi a Warner Communications.


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MessaggioInviato: 23 settembre 2009, 16:52
Messaggi: 4076Località: SALERNOIscritto il: 5 maggio 2008, 23:29
Vasco,a te non frega niente spendere 150 euro x gli Stones, magari, anzi sicuramente li spendo pure io (L'ho fatto varie volte gia'...)ma non e' questo il punto...C'e' chi non se lo puo' permettere, chi ha famiglia, chi e' uno studente...Io penso che a tutto ci debba essere un limite, oltre il quale si sfocia nell'immoralita'...Non dico che un concerto debba essere gratis per l'amor di Dio,ci sono costi,spese e quant'altro...Ma a questo punto troviamo un compromesso:meno bambolone gonfiabili e fuochi d'artificio e piu' musica in un palco di 10 metri anziche' di 100,proprio come negli anni '70...Ne guadagna la musica e ne guadagnano le tasche!!150 euro per un concerto e' uno schiaffo alla miseria, e io a Roma(e non solo) li ho spesi...Non me ne pento ma ripeto...E' un'esagerazione...


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MessaggioInviato: 23 settembre 2009, 19:50
Avatar utenteMessaggi: 4750Iscritto il: 29 ottobre 2007, 20:25
pienamente d'accordo con mailexile! <skull


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MessaggioInviato: 24 settembre 2009, 1:24
Avatar utenteMessaggi: 4314Località: leccoIscritto il: 18 luglio 2009, 23:29
<) per MAILEXILE <) Guarda che capisco quello che dici, e lo condivido per quanto riguarda i concerti in teatri, discoteche o locali prevalentemente piccoli. Purtroppo lo stadio essendo molto dispersivo e grande la gente vuole gli schermi giganti effetti ste' balle io personalmente ne farei volentieri a meno, anche se è comunque un bello spettacolo emozionante. So che 150e sono tanti io in questo momento sono disoccupato quindi so cosa vuole dire, ma in Italia se va bene arrivano ogni 5 anni, vai in discoteca una sera e alla fine tira i conti non sono gli Stones a rovinarti! <)


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MessaggioInviato: 27 settembre 2009, 19:50
Avatar utenteMessaggi: 506Iscritto il: 30 gennaio 2008, 19:02
Sono d'accordissimo sui prezzi esageratamente alti. Io ricordo un concerto di Peter Gabriel a Torino all'inizio degli '80 che costava L. 5.000 (€ 2,50). Con un veloce calcolo dell'inflazione al 10% in eccesso per 29 anni non si arriverebbe nemmeno agli attuali € 40,00.


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MessaggioInviato: 8 ottobre 2009, 11:12
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Live Nation e Coca-Cola: alleanza strategica pluriennale


Live Nation e Coca-Cola hanno siglato un accordo che legherà i due gruppi per diversi anni in un'alleanza strategica che prevede, tra l'altro, sponsorship e svariate iniziative di co-marketing. L'effetto concreto che si noterà per primo riguarderà la presenza esclusiva delle bevande della multinazionale di Atlanta nei locali controllati da Live Nation e/o dove si esibiranno i suoi artisti.


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MessaggioInviato: 9 ottobre 2009, 11:13
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Primo intoppo per la progettata fusione tra Live Nation e Ticketmaster, multinazionali leader nei settori della musica dal vivo e dell’ electronic ticketing: la Commissione inglese incaricata di vigilare sulla concorrenza ha infatti emesso un primo parere negativo sull’operazione, valutando che il merger potrebbe condurre a un aumento generalizzato dei prezzi dei biglietti dei concerti e a una riduzione della concorrenza nel settore.
Tra i potenziali danneggiati dalla fusione il commissario Christopher Clarke ha citato la società tedesca di ticketing CTS Eventim, che con Live Nation aveva firmato un accordo di collaborazione internazionale pochi mesi prima che venisse annunciata la sua intenzione di allearsi con Ticketmaster. Come rimedio, l’Antitrust inglese propone il ridimensionamento delle attività di Live Nation o di Ticketmaster sul mercato inglese, o comunque l’adozione di misure che consentano anche a concorrenti più piccoli di sopravvivere. Le due società nordamericane hanno un tempo relativamente breve per presentare le loro controproposte, dal momento che il verdetto finale della Commissione inglese è atteso per il 24 novembre; la loro fusione, intanto resta sotto investigazione anche negli Stati Uniti, dove è al vaglio del Dipartimento di Giustizia.


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MessaggioInviato: 12 ottobre 2009, 10:51
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Claudio Ferrante, direttore generale della Carosello, lascia la storica etichetta indipendente milanese che negli ultimi tempi, sotto la sua guida, ha lanciato nomi emergenti come i Lost e rinforzato il roster con Miguel Bosé (nella foto), Skunk Anansie e MogolAudio 2. La sua prossima destinazione, stando a voci in attesa di conferma, è Log Service Europe, società di logistica specializzata nel settore dell’home entertainment che gestisce in outsourcing magazzino e distribuzione per conto delle major discografiche Sony Music, Warner Music e Universal. Un comunicato stampa relativo alle sue dimissioni e al riassetto della Carosello è atteso per la giornata di oggi.


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MessaggioInviato: 12 ottobre 2009, 11:40
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Il mantra più popolare degli ultimi tempi recita che mai prima d’ora, nella storia, la musica registrata era stata altrettanto immanente nella vita quotidiana. Nel frattempo, tra download illegali e streaming gratuito pagato dalla pubblicità, il numero di coloro che la musica la comprano continua a diminuire: al Digital Music Forum che si è tenuto a Hollywood la settimana scorsa Russ Crupnick di NPD Group ha ricordato che gli acquirenti di cd e di file digitali, negli Stati Uniti, sono calati da 153 milioni a 132 milioni nell’arco di due anni (2006- 2008), mentre nello stesso periodo di tempo la spesa pro-capite annua è scesa da 44 a 35 dollari. La “rivoluzione digitale” stenta a generare profitti anche in Nord America, e persino negli Usa quasi due consumatori su tre continuano a comprare soltanto cd.
Nello stesso forum Eric Garland di BigChampagne ha sottolineato come l’unico luogo dove la richiesta di album continui a crescere sia BitTorrent: 1,3 milioni di download di ”No line on the horizon” degli U2 in un mese soltanto (e con un’impennata nelle richieste dopo che il disco è diventato disponibile nei negozi “fisici” e digitali). Le vendite settimanali dei best seller sono scese a qualche centinaio di migliaia di pezzi, meno del 10 % di quanto viene diffuso legalmente in streaming; e secondo BigChampagne le case discografiche hanno anche poche speranze di recuperare grandi somme di denaro dai social networks che come YouTube, Bebo e MySpace utilizzano in dosi massicce la loro musica. La soluzione? Secondo Garland l’industria musicale deve rassegnarsi a un tenore di vita molto più basso di prima. “Dobbiamo ridurre le aspettative. L’anno scorso molti di noi guidavano un Suv; l’anno prossimo saremo altrettanti a guidare una utilitaria”.


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