Un nuovo inno americano
da
http://jimihendrixitalia.blogspot.it/Sul far del giorno di lunedì 18 agosto 1969, la fattoria per la produzione del latte di Max Yasgur a Bethel nello stato di New York sembrava una gigantesca voragine nella campagna dell’Upstate New York.
Una vasta moltitudine di gente, più di 400.000, avevano occupato quelle terre per diversi giorni ed ora come quella folla si disperdeva lasciava dietro di se un mare di fango e di detriti.
L’unica isola di quel mare era un palco elevato, costruito appositamente per quello storico evento e il 18 agosto la vista da quel palco era indimenticabile: la fattoria di Max Yasgur impregnata di pioggia, calpestata e lordata con abbastanza spazzatura da soffocare una cittadina poteva sembrare un campo di rifugiati.
Questa era la scena che attendeva Jimi Hendrix e il suo nuovo gruppo mentre si apprestavano a chiudere il Festival di Woodstock (Woodstock Music and Arts Festival).
Propagandato dai promoters come “tre giorni di pace e musica” , Woodstock era diventato realtà sul terreno della fattoria di Max Yasgur per un intero e apparentemente interminabile week-end, migliaia di giovani avevano ondeggiato sotto i cieli aperti e le piogge torrenziali divertendosi con la musica e propagandando un senso di speranza e rinnovamento che avrebbe caratterizzato la loro generazione.
Gli organizzatori avevano disposto 25 gruppi che andavano dalla cantante blues-rock Janis Joplin al quartetto inglese degli Who.
Hendrix, il più acclamato chitarrista del momento e considerato un portento anche dagli altri musicisti, insistette per chiudere il festival, ma giunto il giorno 18 agosto questa parve una scelta sbagliata.
A causa di vari problemi tecnici e ritardi dovuti alla pioggia la tabella del Festival di Woodstock era in ritardo di quasi un giorno, molte delle persone che riempivano l’anfiteatro naturale del festival se ne erano già andate.
Dopo aver vissuto tre giorni di pace, musica, pioggia, amore, sesso, droghe, scarsità di cibo, folla soffocante e fango fino alle caviglie, questi pellegrini erano soddisfatti ed esausti.
Essi stavano trasmigrando, riversando la marea umana che era affluita nel’upstate New York durante il week-end, creando uno dei più grandi ingorghi stradali della storia degli autotrasporti – un unico parcheggio di 17 miglia lungo la Route17B.
I pionieri della Woodstock Generation, come amano raccontare, avevano fatto quel che dovevano fare e ora tornavano a casa.
Le 80.000 persone rimaste erano abbastanza per riempire uno stadio ma non per 600 acri di terreno.
Ritardatari vagavano sporchi, infanganti tra il paesaggio devastato come sopravvissuti a una frana, guardandosi intorno attoniti chiedendosi dove fossero finiti tutti gli altri.
Woodstock stava diventando un evento unico, non ci sarebbero stati altri avvenimenti del genere che sarebbero stati in grado di replicare quella mistura unica di musica, magia, miseria, spontaneità e storia.
Ma la leggenda non era ancora completa e coloro che se ne andarono prima non possono che rimpiangere la scelta fatta.
L’ultimo artista, Jimi Hendrix, salì sul palco sotto un cielo rosa striato dall’alba con la sua Fender Stratocaster bianca in spalla e i suoi capelli ribelli con una fascia per capelli rossa che accentuava i tratti marcati del suo volto espressivo.
Hendrix sembrava un autostoppista cosmico , uno zingaro con stivali da cow-boy, jeans a campana, cintura torchiata d’argento e una tunica frangiata bianca e una camicia con dei merletti sul davanti.
La gente sparsa si radunò e un fragoroso applauso salutò Jimi.
Hendrix esaminò i duri a morire che lo avevano aspettato per tre giorni interi e sorrise.
“A quanto vedo ci incontriamo ancora” disse calorosamente “ Hmmmm…”
Il suo nuovo gruppo, Gypsy Sons and Rainbows, lo seguì e prese posto sul palco tra i tralicci che sostenevano gli amplificatori.
Il bassista Billy Cox, compagno d’armi e suo vecchio amico fin dai tempi di Fort Campbell, Kentuky, fu il primo musicista ad essere chiamato dopo la defezione dal gruppo originale, The Jimi Hendrix Experience, il giugno precedente, del britannico Noel Redding.
Anche il chitarrista Larry Lee accompagnava Jimi sul palco a Woodstock, sia Larry che Billy erano amici di Hendrix dal tempo del servizio militare.
La sezione ritmica della formazione comprendeva il percussionista Juma Sultan che aveva suonato insieme al leggendario jazzista John Coltrane.
Il secondo percussionista, Jerry Velez, era invece appena tornato dal Vietnam e stava faticosamente reinserendosi nella vita civile e Jimi gli stava semplicemente dando una mano.
Il batterista Mitch Mitchell era l’unico rimasto della band originale, The Jimi Hendrix Experience, una band che nel giro di un paio d’anni cambiò la musica “pop” per sempre, miscelando ballate rock, blues, soul, funk e pop reinterpretandole in maniera mai sentita prima.
Dal suo debutto in Inghilterra nel settembre 1966 il trio conquistò le vette del rock e nel volgere di nemmeno tre anni la band divenne uno dei più pagati e conosciuti gruppi della scena musicale, Hendrix a Woodstock era l’attrazione principale e la più pagata.
Dopo lo scioglimento degli Experience, Jimi continuò, senza riposo, nella ricerca compulsiva
che colorava la sua musica e la sua vita.
Questa ricerca portò Hendrix a sfidare se stesso e il suo modo di suonare, Jimi voleva cambiare immagine e provare nuove esperienze musicali.
La Jimi Hendrix Experience era stata un classico “power trio” – chitarra, basso, batteria.
La nuova formazione di Hendrix, Gypsy Sons and Rainbows, ora contava il doppio di musicisti.
Il nuovo lineup poteva in qualche modo essere più forte e incisivo degli Experience, essere più vicino allo spirito che Jimi perseguiva nella sua musica o almeno così credeva Hendrix che era stufo di sentirsi ingabbiato dentro un power trio e del circo del rock’n’roll in genere.
…Ma c’erano dei problemi, Jimi non aveva più fatto un concerto dallo scioglimento degli Experience a Denver nel giugno precedente e aveva assemblato la nuova formazione poche settimane prima del festival e non ebbe un nome fino a pochi minuti prima di salire sul palco a Woodstock la mattina del 18 agosto.
Nelle settimane precedenti al festival i musicisti cominciarono a suonare insieme ma facevano fatica ad amalgamarsi, non riuscivano ad entrare in sintonia come Hendrix si aspettava.
Le prove quotidiane non fecero che evidenziare la loro mancanza di coesione e feeling.
Ricorda Mitch Mitchell nelle sue memorie nel 1990:
Spesso durante le prove avevo la sensazione che Jimi aveva capito che il gruppo non avrebbe funzionato e avrebbe voluto non dover suonare al festival e ricominciare da capo con un’altra formazione.
Il gruppo provò per tre settimane in una casetta tra i boschi e le campagne vicino a Woodstock.
Non sapevano quanto fossero pronti per il concerto finchè non salirono sul palco e si trovarono faccia a faccia con il pubblico, una massa di fans del rock che aveva già passato un intero week end ascoltando la miglior musica rock forse mai suonata.
Malgrado le difficoltà che prevalsero a Woodstock, il gruppo di Hendrix fece il suo dovere al meglio.
Il sound-system, messo a dura prova da un week-end con anche pioggia e fulmini, minacciava di saltare ad ogni secondo.
In centinaia tra la folla andavano scalzi tra i cavi elettrici, dissepolti dalla pioggia e dalle migliaia di persone che hanno camminato su quei terreni.
Il palco era sprofondato di diversi centimetri nel terreno soffice e puntava in avanti come una nave che solca mari agitati.
L’umidità e il clima afoso non giovavano certo alle chitarre e al basso che erano spesso scordati.
Ma in cima alle sfide poste dalle difficoltà contingenti, Hendrix aveva un avversario in più da affrontare:
se stesso.
Nonostante il nuovo lineup, Hendrix arrivò a Woodstock distratto e stremato dalla tremenda richiesta di concerti, interviste e apparizioni.
Nel backstage, la domenica notte, durante una di queste discussioni con i manager, Hendrix si sentì male.
Ufficialmente la causa fu attribuita a dell’acqua contaminata che Jimi bevve quella sera e comunque sta di fatto che Hendrix prima del concerto fu ricoverato in un lettino nella tenda medica e solo verso mattina si riprese e dopo poco salì sul palco.
Egli era ancora “Jimi Hendrix”, una fonte di energia incendiaria per chitarre, uno sciamano elettrico che suonava il blues come se ne fosse posseduto ma il “Voodoo Chile”, come Jimi stesso si proclamò in una sua celebre canzone, stava invecchiando.
Jimi aveva condensato parecchie vite nei suoi 26 anni e quel sovraccarico traspariva sul suo volto, ogni cosa per Hendrix correva a velocità folle, per Jimi a Woodstock il futuro era lì in quel momento, plug and play…
La band fu erroneamente presentata come “The Jimi Hendrix Experience” e ci volle un momento perché la folla facesse conoscenza della nuova formazione.
Hendrix gentilmente corresse il presentatore :
” Vedi, a noi piacerebbe andare un po’ più avanti, ci siamo stancati degli Experience e stavamo veramente rischiando di andare fuori di testa e così abbiamo deciso di cambiare tutti e di chiamarci Gypsy Sons and Rainbows… Per un po’ almeno perché non siamo altro che una banda di zingari.”
Hendrix parlava alla folla nella stessa maniera in cui suonava, con una cascata di parole e frasi che danzavano ritmicamente uscendo dalle sue labbra.
Qualcuno dal pubblico gli gridò:
“Jimi are you high? – Jimi sei fatto?”
Sembrava più un’offerta che un’accusa.
“Ho la mia, grazie tante” rispose Jimi.
La band suonò per due ore e si esibì alternando pezzi rivisitati dal repertorio degli Experience a nuovi brani sperimentali che lasciavano intuire la futura evoluzione stilistica del grande chitarrista.
Alcuni momenti dell’esibizione furono meglio di altri, in alcuni gli strumenti rifiutavano di rimanere accordati mentre altre volte traspariva l’inesperienza della formazione.
“ Si, lo so” disse Hendrix ad un certo punto del concerto “ accordiamo sempre tra una canzone e l’altra e questo non va bene e quello anche ma non siamo tutti in uniforme questa è una jam session se non vi piace potete anche andarvene…. Suoneremo un nuovo inno nazionale finchè non ne troveremo uno migliore” e introdusse “Voodoo Child (Slight return)” e mentre la stava suonando si ruppe la corda della chitarra.
Hendrix verso la fine del set si allontanò dal microfono e dalla sua chitarra uscirono le prime note di una canzone che tutti tra il pubblico conoscevano a memoria fin dalla tenera età:
The Star Spangled Banner
Attraverso i campi che sembravano una zona di guerra, la familiare melodia aleggiava sulla folla di Woodstock, con un tono triste che sembrava gemere sotto strati di distorsione.
Lo spazio che Hendrix lasciava tra ogni nota suonata sembrava dilatato, stava succedendo qualcosa che non aveva precedenti, Jimi stava suonando l’inno nazionale americano e lo stava trasformando in un “lamento” nazionale.
Il pubblico ascoltava rapito, molti tra la folla seguivano l’inno con le labbra mentre Hendrix lo suonava.
Jimi lo eseguì fedelmente ma ad un certo punto con la sua Stratocaster materializzò il fragore di bombe che esplodono, sibili di razzi che tagliano l’aria, sembrava come se il suo strumento si fosse trasformato in una macchina da guerra.
Gli amplificatori sussultarono alle raffiche di mitragliatrici e al fragore degli esplosivi, il tutto generato da un solitario chitarrista che crea un incubo di visioni con una bandiera stelle a strisce che sventola su una nazione impegnata in una sporca e sanguinaria guerra in Vietnam.
La chitarra di Hendrix sembrava irriverire e allo stesso tempo rendere omaggio alla grandiosità dell’inno nazionale, il suo pianto elettrificato di emozioni riecheggiò nei cuori e nelle menti del pubblico.
Hendrix non concluse il concerto con l’inno nazionale ma “Star Spangled Banner” suonata da Jimi Hendrix a Woodstock divenne un’icona del festival stesso, un momento significativo su cui testimoni, ascoltatori, musicisti e critici a distanza di quaranta anni discutono ancora.
Woodstock portò a Hendrix una ventata di nuova energia che lo portò a rinnovare la sua attività.
Passò l’anno seguente al festival nella stessa maniera dei primi tre: in tournè o in sala di registrazione.
Attraversò varie volte gli Stati Uniti e l’Europa con rare soste di riposo, registrò centinaia di nastri in studio con jam sessions, idee, canzoni e il materiale inedito potrebbe riempire ancora numerosi cd.
Dopo Woodstock, per Hendrix c’era un’urgenza come se fosse consapevole di essere in corsa contro il tempo per trovare o finire qualcosa…. Il tempo purtroppo stava scadendo.
“Non sono sicuro che arriverò a vivere fino all’età di 28 anni…” disse Jimi in un’intervista al giornale danese Morgenposten nel 1970.
La sua previsione fu tristemente azzeccata.