Messaggi: 41Località: milanoIscritto il: 26 gennaio 2007, 16:44 |
Di seguito se qualcuno fosse interessato l'anteprima (!?) di un mio
articolo previsto per il Mucchio selvaggio e che non è mai uscito e che
mai uscirà per aver litigato via mail con Max Stefani.
Argomento il
tour 2006.
Luciano
Una lunga estate stoniana
Dopo aver bidonato mezza
Europa a causa di una fantomatica caduta da un albero esotico alto un
metro e mezzo, a luglio Keith Richards e compagni sono finalmente
atterrati a Milano e non solo per onorare la data originariamente
prevista per il ventidue giugno e posticipata all’undici luglio; no,
hanno fatto le cose in grande, prenotando l’Alcatraz, uno dei pochi
locali milanesi adatto ad ospitare un po’ di rock, per effettuare
lunghi set di prove pomeridiane, infarciti di canzoni misconosciute e
costituenti, le prove, il ripieno di un sandwich dove le occasioni
mondane erano le fette di pane.
La cosa ha fatto sì che si
raccogliessero davanti al marciapiede del locale decine di attempati
fedeli in attesa di cogliere le note di qualche song, magari quando si
apriva il portone della carraia per far entrare le varie portate del
catering; non è stato difficile per i presenti, io appartengo alla
categoria, udire da fuori Out of control, Can’t you hear me knocking,
Monkey man, Love is strong e addirittura, incredibile, Con le mie
lacrime, scoperta da Jagger in qualche cassetto e prevista quale
penitenza collettiva necessaria per mondare le colpe dello slittamento
del tour.
Nonostante si vociferasse di un secret gig milanese (mai
previsto), i quattro insieme ai fedelissimi musicisti che oramai
compongono la fantasmagorica banda, hanno fatto il loro mestiere di
attempate star concedendo poco o nulla ai fedeli radunati davanti al
locale, e “davanti” diventerà una costante in questa breve storia
estiva; grandi canzoni suonate all’interno, qualche nota rubata all’
esterno; una finta intervista sul marciapiede davanti all’Alcatraz dove
i quattro magrolini Stones si collocano sul passo carraio, trattenuti a
fatica da un pezzo di nastro isolante per terra ed improvvisano, non è
vero ma crediamoci, una pittoresca conferenza a base soprattutto di
calcio (ancora lui!), e dove il Capo, Jagger, non Richards, fa finta
pure di intimidirsi di fronte ai soliti venti aficionados.
Intanto a
San Siro procedevano le opere di costruzione di quell’edificio che è il
luogo della rappresentazione, differente ad ogni tour, e come dal 1989
in poi disegnato dall’architetto inglese Mark Fisher, trasportato da
una novantina di TIR; uno stage che nella sua interezza pare uno enorme
ragno messo in verticale, con il corpo costituito da uno schermo
impressionante e le zampe dalle balconate laterali, che gentilmente
ospiteranno qualche centinaio di persone, in piedi a godersi lo show,
vicino agli Stones.
Fisher insieme a Mick e Charlie, - agli altri due,
pare, non freghi nulla - ha creato questo strano fabbricato urbano, un
po’ parcheggio multipiano un po’ teatro di periferia, che rimanda come
concept ai palchi ottocenteschi quindi alla città.
Su questo stesso
palco prima di provvedere allo show ufficiale, i nostri affronteranno
un miniconcerto al quale ero presente (spettatori esterni: tre!), dove
suoneranno accaldati ma convinti Rain fall down, Monkey man, Tumbling
dice, Streets of love, As tears go by, Under my thumb, Rough justice,
Before they make me run e Slipping away, nove canzoni per un concertino
privato. Pessima acustica, caldo a quaranta gradi ma comunque
emozionante.
E veniamo al concerto milanese; gran caldo, stadio quasi
pieno, grande aspettativa; è pur sempre la prima del tour europeo dei
Rolling Stones. Tutti aspettano soprattutto Richards, quando esce ed
attacca Jumping Jack Flash il pubblico finalmente ci crede. E’ vivo. C’
è.
Purtroppo le aspettative, la tecnologia e l’architettura futurista
si infrangono nelle prime quattro canzoni contro la pessima acustica
del Meazza o peggio il cattivo umore degli addetti al mixer; volano
confuse oltre al primo pezzo It’s only rock’n’roll, Oh no, not you
again, Let’s spend the night together, poi tutto migliora dalla quinta
canzone, Streets of love, marchetta da pagare al mercato europeo, che
però a San Siro si trasforma in una ballata piuttosto efficace; poi la
sorpresa, quelli davanti all’Alcatraz lo sapevano, Con le mie lacrime;
gli Stones sono perdonati, francamente è troppo per noi e non solo.
Troppo bella e mai eseguita dal vivo. Sicuramente ce la troveremo nello
scontato ed imminente live che usualmente congeda ogni tour dei nostri.
Poi via via il concerto prosegue fra fumi, fiamme ed un incredibile
gioco di luci che modifica ogni secondo le forme e le proporzioni dello
stage, passando da una fantasmagorica Midnight rambler, oggi più
attuale che mai ad Under my thumb sul b-stage, fino a Satisfaction;
stelle filanti e fuochi d’artificio finali come da manuale
linguacciuto.
Compito svolto, bene direi io. Di più non si poteva, d’
altronde la ruggine in tre mesi si forma in maniera cospicua, sui corpi
asciutti dei quattro Stones.
Li rivedrò al concerto del Palais Nikaia
di Nizza quattro settimane dopo, dove gli Stones, Richards su tutti,
saranno più tonici rispetto alla data milanese, malgrado una noiosa
scaletta che prevede solamente Paint it black al posto di Under my
thumb.
Nizza è il luogo dove i nostri, senza Wood, vissero negli anni
Settanta un po’ di tempo a Nellcote, la famosa villa dei bagordi, in
cui nascerà il disco dei dischi, Exile on main street; e proprio a
Nellcote apparirà lo stesso Wood il giorno prima del concerto, a bordo
della solita limo nera, con i familiari, forse per visitare il luogo
del mito stoniano, forse incuriosito come i fans radunati davanti al
cancello in ferro battuto. Ron scapperà per la paura di sette o otto
timidi stoniani radunati davanti all’entrata della villa, forse pronti
ad accoltellarlo con la penna biro, neanche con la stilografica che un
tempo affondava nel corpicino di Jagger, nel famoso disegno
promozionale di It’s only rock’n’roll.
Epilogo; i Rolling Stones sono
un meccanismo perfetto, con competenze chiare e ruoli riconosciuti e
riconoscibili. Tutto ciò è stato chiaramente visibile e dimostrabile
alla loro partenza dall’aeroporto milanese in un assolato pomeriggio.
Sotto bordo dell’aereo i nostri sono arrivati a rate, in ordine
d´importanza e secondo uno schema di marketing: tecnici, musicisti a
supporto, poi Ronnie, Charlie, Keith, Mick. Ron un po’ incartapecorito,
assorto, preoccupato; Charlie con la grisaglia nonostante i quaranta
gradi; Keith sfatto e distratto e poi finalmente un urlante Mick al
telefonino, vitale e che si ferma per un attimo a firmare un autografo
al sottoscritto, consapevole del suo ruolo di Capo.
Ma nonostante
questa indispensabile industria consolidata sia la realtà che supporta
e muove le attività artistiche di questi quattro longevi signori, è
stato comunque emozionante e penso irripetibile vedere un camion che
scarica gli strumenti dei Rolling Stones su un anonimo marciapiedi
italiano.
Luciano Bolzoni
Milano, 29 agosto 2006
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