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Indice  ~  Generale  ~  46 anni fa usciva EXILE ON M.ST.

MessaggioInviato: 12 maggio 2018, 17:12
Messaggi: 3297Iscritto il: 29 giugno 2007, 9:18
Molti articoli sul questo disco di Rockol e altri. La storia del disco, gli avvenimenti di quel periodo legati alla band, storia canzone per canzone e altre cosucce in proposito. C'è anche la recensione di Bertoncelli che dice che Exile non è un capolavoro ma solo un buon disco tutto sommato (aiutooooo!!!!). Un disco di tale potenza, così imperfetto e scarnificato nell'essenza stessa della musica quivi creata senza tanti fronzoli e coriandoli. Senza parlare del modo in cui è stato concepito, il luogo, e lo stato stesso, fisico e mentale della band. Un caos primordiale e selvaggio. Lo metto sul giradischi e vi auguro buon we.

Rosso57 <)


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MessaggioInviato: 13 maggio 2018, 13:43
Avatar utenteMessaggi: 2114Località: ItalyIscritto il: 20 dicembre 2010, 22:27

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MessaggioInviato: 17 agosto 2019, 22:25
Messaggi: 3297Iscritto il: 29 giugno 2007, 9:18
Posto questo articolo in memoria perenne di quel capolavoro di Exile on M.st. . Il più sporco, lurido, laido, unto, blues, rock'n roll, sudicio, sudato e sanguinante disco della storia. Ogni volta che lo metto sul giradischi ringrazio il giorno che ho scoperto la loro esistenza e il loro pianeta. Rolling Stones per sempre!!!

Rosso57 <)


L’estate violenta degli Stones: droga, gelosia, caldo ipnotico, donne stregate (e la chitarra di Eric Clapton) a Villa Nellcôte, Costa Azzurra


“Chi è che sa come procurarsi un po’ di m*rda, da queste parti?”: siamo nel 1971, è estate, e m*rda sta per eroina, e queste parti per Villefranche-sur-Mer, in Costa Azzurra. Sono giorni di sole perenne, implacabile. Di caldo atroce. Insopportabile. Ipnotico. I Rolling Stones stanno, sudati e bestemmianti, in autoesilio in Francia, scappati da quell’Inghilterra che li vuole in galera per evasione fiscale se non sganciano in tasse il 93 per cento dei loro guadagni. Fuggono, gli Stones, anche da Allen Klein, il manager che gli ha fregato soldi e i diritti delle loro canzoni: Mick gliel’ha giurata, non gliene darà altri, men che mai quelli dei nuovi brani che si porta appresso, su demo, nella fuga nel sud della Francia.
*
Villa Nellcôte la trova Anita Pallenberg, la donna di Keith. Una dimora immensa, maestosa, soffitti alti 6 metri, specchi, colonne di marmo, scaloni imponenti. È passata dalle mani di un riccone sopravvissuto al Titanic, a quelle di un armatore, con intermezzo di occupazione nazista, che ha lasciato svastiche indelebili sulle pareti. Un’aria di morte, di tomba, aleggia in quella casa buia, umida, ferma in un gravoso silenzio. In verità è dalla morte che fuggono gli Stones, dai cadaveri di Brian Jones e di Altamont, dall’overdose quasi letale di Marianne Faithfull. Fuggono dalla morte per rifugiarsi in una catacomba, ovvero un seminterrato, quello di Villa Nellcôte, che sembra l’interno di una piramide egizia, stanze dentro stanze, corridoi, e luce e aria che entrano da una sola piccola finestra.
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Una prigione sotterranea. Qui gli Stones decidono di registrare Exile on Main St., ogni giorno, da mezzanotte alle prime luci dell’alba. Ma tra i membri del gruppo gira un’aria brutta, tesa. Gli Stones sono nervosi, incaz*ati tra loro e per motivi loro, e tutti insieme con l’Inghilterra e col mondo intero. Una paranoia che li fa sentire sotto assedio. A Nellcôte, con Anita e Keith, si vive in bilico, da fuorilegge, ma nessuno Stones ‘regge’ Richards, che va a dormire alle 10 del mattino (quando non si fa di amfe e allora sta sveglio, a suonare, per giorni interi) e si alza nel tardo pomeriggio: così si stabiliscono lontano da Nellcôte, a ore di macchina, da cui non si muovono nei weekend. E Mick Jagger? Meglio lasciarlo stare, sta sul nevrastenico, ha appena sposato Bianca, che è incinta, e per lei fa la spola tra Nellcôte e Parigi. Mick si droga, si fa di tutto e parecchio, ma Mick è snervato perché è geloso. Di Keith. Che a Nellcôte sta sempre con Gram Parsons, che forse con Gram vuole incidere un disco, vuol fare il solista, si tormenta Mick, cioè vuole lasciare lui e gli Stones. In questa atmosfera agitata, elettrica, in quella tomba sottoterra si scrive, si suona, si urla, si litiga, ci si riconcilia. Si sta allucinati, pazzi dal caldo che un unico ventilatore non placa di nulla, e la sua inutilità finisce nel disco (Ventilator Blues). Si sta col cuoco Jacques che fa saltare in aria la cucina e li lascia affamati, e però, mica si può licenziare, è lui che procura la ‘roba’. È lui che ha i contatti con quelli di Marsiglia, è lui che porta l’eroina pura. A Nellcôte, nel gabinetto, Keith ha scritto questa formula, 97 a 3, e sono i grammi, questi ultimi, della polvere della prima busta che vanno mischiati ai 97 di lattosio della seconda. Roba da tagliare con precisione, come fa Keith, ogni volta che sparisce per quasi un’ora. È la vena che reclama.
*
A Villa Nellcôte passano artisti, scrittori, colleghi, perdigiorno. Passa ogni tipo di droga, sui tavoli la si smercia, la si consuma, gli stessi tavoli aree da gioco d’azzardo per uomini che di giorno dormono, di notte suonano, la mattina salgono sul Mandrax, il motoscafo di Keith, che lo guida senza patente, e vanno a far colazione in Italia, e a fumar erba coi marines pazzi di felicità perché per loro star di stanza in Francia significa saltare il Vietnam. E coi marines si va a prostitute! (Tumbling Dice).
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A Nellcôte ci sta 6 mesi Dominique Tarlé, il fotografo che cattura visioni, spettri di quell’inferno dantesco, regalandolo alla storia. Ci sta il giornalista Robert Greenfield, che su Nellcôte, e su Exile, vi scrive un libro sput*anante. I piani superiori di Nellcôte divengono bivacchi, accampamenti beduini, e Anita Pallenberg, accaldata, coi vestiti appiccicati addosso, si ritrova nell’ingrato compito di buttafuori. Un carattere niente facile, quello di Anita: forte ma suscettibile, e manesco con gli uomini. E Keith non sale di sopra, trema quando la sente parlare in tedesco, perché è in quella sua seconda lingua madre che Anita si infuria. Un giorno a Nellcôte arriva Eric Clapton, con 7 chitarre, e una la dona a Keith ed è quella di Muddy Waters, e io non ho mai saputo se è tra quelle che un pomeriggio i ladri razziano mentre a Nellcôte si guarda, ‘fatti’ e beati, la tv. Un altro giorno arriva William Burroughs, ed è il suo ‘cut-up’ che salva Mick e Keith dalla paralisi compositiva. È col cut-up che si crea Casino Boogie, è dai giornali che riportano Angela Davis ricercata per terrorismo, che nasce Sweet Black Angel. In Exile entrano suoni duri, e testi violenti, si cerca Dio e si vuole vederlo in faccia. I brani di Exile riflettono e rimandano il clima ‘flippato’ di quel tempo, di quella estate. A settembre il disco è finito: gli Stones si separano, ospiti graditi e no se ne vanno, a Nellcôte rimangono Keith, Anita, il loro piccolo Marlon, i domestici. E arriva la polizia. Keith e Anita sono accusati di uso e spaccio di droga, sui media sono descritti come due delinquenti, Anita come una meretrice, una strega, una donna dalla bellezza che sgomenta e inquieta. Si scopre che tra gli inquilini di Nellcôte c’era qualche infiltrato della polizia evidentemente ignorante perché le accuse a Anita di stregoneria vengono fuori dai libri che lei aveva disseminati per la casa: insieme a Kafka, Artaud, Rilke, Hofmannsthal, svettano testi di teosofia, magia nera, esoterismo. Lei ci andava matta.
*
Keith e Anita filano a Los Angeles. Qui arrivano anche gli altri Stones per completare Exile che esce nella primavera successiva, e non se lo compra nessuno. Inizialmente. Poi va al numero uno. Si parte in tour, quello dei record, quello così eccessivo che Keith se lo ricorda a lampi. In tour con gli Stones, ci sono Truman Capote per Life, e Annie Leibovitz per Rolling Stone. Pacchi di soldi agli avvocati, e le accuse a Keith e Anita decadono. Altre arriveranno. E Anita è di nuovo incinta. Nasce Angie.


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MessaggioInviato: 18 agosto 2019, 22:39
Messaggi: 310Iscritto il: 18 marzo 2014, 16:17
Bellissimo. Emozionante.

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MessaggioInviato: 14 settembre 2019, 22:53
Messaggi: 3297Iscritto il: 29 giugno 2007, 9:18
Articolo interessante sul 1972 di Exile. Come si fa a non amare profondamente questa band? Loro hanno rappresentato le tenebre e la luce del rock. La mortalità e l'immortalità.

Rosso57 <)

Lo sguardo controcorrente di Robert Frank sui Rolling Stones
Jason Heller, The Atlantic, Stati Uniti
14 settembre 2019 10.01

C’è una scena di Cocksucker blues in cui un componente dell’entourage dei Rolling Stones, viaggiando sull’aereo privato della band, legge una copia del libro motivazionale Living poor with style, pubblicato nel 1972 da Ernest Callenbach. È uno dei tanti momenti di dissonanza cognitiva mostrati dal documentario, codiretto da Daniel Seymour e dal fotografo e regista Robert Frank, morto il 9 settembre scorso a 94 anni.
Se vogliamo giudicare un buon documentario dalla coesione e dall’empatia che suscita, allora Cocksucker blues è pessimo: è frammentario, distorto, incoerente, sembra voler minare la propria autorità ogni volta che ne ha la possibilità. “Fatta eccezione per le parti musicali, gli eventi mostrati nel film sono immaginari, nessuna rappresentazione dei fatti o delle persone è reale”, si legge in un cartello all’inizio del film. Un documentario immaginario, insomma. L’idea è senza dubbio intrigante.
Ma Cocksucker blues non è affatto pessimo, nonostante la decostruzione visiva di Frank. È un capolavoro fuori fase che si nutre del paradosso. Girato nel 1972, mentre gli Stones portavano in tour il leggendario Exile on Main St., il film riflette lo scompiglio al centro dell’album, costruendo nel frattempo un vocabolario cinematografico tutto suo. L’audio delle registrazioni dei concerti fa da sfondo alle scene che mostrano la band e chi sta intorno, tra passeggiate senza meta, sesso e droghe varie, riprese con angolazioni inclinate e ipnotiche.



Quasi ogni fotogramma è uno splendido ritratto degli Stones a petto nudo. Eppure Frank riesce a demistificare anziché mitizzare Mick Jagger, Keith Richards, Mick Taylor, Bill Wyman e Charlie Watts, tirandoli giù dal loro trespolo dionisiaco. Gli Stones sono mortali, fragili, sporchi, approssimativi, trasandati. “È uno dei più bei film sul rock che abbia mai visto”, ha dichiarato Jim Jarmusch. “Ti fa pensare che non vorresti mai essere una rock star”.
Probabilmente è anche per questo che nel 1972 i Rolling Stones hanno presentato un esposto contro Frank nel tentativo di bloccare l’uscita di Cocksucker blues. La vicenda si è conclusa con un accordo piuttosto bizzarro: il film può essere proiettato solo quattro volte all’anno, e solo in presenza di Frank. Di sicuro la band non ha protestato per il titolo, tratto da una delle composizioni oscene, anche se inedite, di Jagger. Probabilmente a dargli fastidio è stata la natura stessa del film.
Gli Stones volevano evidentemente essere considerati ribelli, ma solo se potevano controllare questa immagine. Cocksucker blues mostra un lato della band
poco lusinghiero, anche dal punto di vista acustico. È un banchetto chiassoso per le orecchie: pieno di suoni d’ambiente, raschiature, borbottii, rumori che di solito sono eliminati in postproduzione o evitati in fase di ripresa. Ma così come per le immagini, c’è del metodo nella follia sonora di Frank. I collage sonori sfumano in viscerali registrazioni dei concerti, compresa una feroce esibizione sul palco con Stevie Wonder come ospite d’onore. Se gli Stones hanno osteggiato il film per vanità, hanno commesso un errore (alla morte di Frank la band ha rilasciato una commovente dichiarazione di cordoglio).
Troppe immagini
Oltre a permettere a Frank di filmarli per un documentario, gli Stones hanno scelto come copertina di Exile una foto rimasta fuori da The americans, il pioneristico lavoro di Frank diventato un libro nel 1958. The americans è un tour de force nella vita di tutti i giorni, dove il quotidiano raggiunge la grazia dell’arte classica, e i superbi contrasti tra i neri, i bianchi e le sfumature di grigio rendono la luce un oggetto di contemplazione.
Nei soggetti di Frank c’è la nobiltà delle statue. Non la povertà vissuta con stile, solo la realtà, che illumina e allo stesso tempo riveste di ombre le cose. Il libro, dove risuona l’eco della beat generation e ha la prefazione di Jack Kerouac, ha contribuito a fissare la sensibilità e il linguaggio visivo della controcultura. Frank era lì all’inizio di quello che sarebbe diventato il movimento hippie e c’era anche alla fine, quando ne ha catturato il declino, impersonificato dagli Stones. È significativo che tra tutte le foto di Frank, Jagger e gli altri abbiano scelto per la copertina di Exile proprio Tattoo parlor, un collage di immagini che ritrae circensi e fenomeni da baraccone, come se fossero intrappolati in una gabbia.
“Oggi ci sono troppe immagini, troppe macchine fotografiche”, aveva detto Frank a Vanity Fair. “Siamo tutti osservati. È ridicolo. Come se ogni azione meritasse di essere immortalata. Niente è veramente speciale. È solo la vita. Se tutti i momenti vengono fotografati non resta più niente di bello, e forse la fotografia smette di essere arte. O magari non lo è mai stata”. Per quanto possa sembrare cinica questa sua posizione, in realtà contiene un certo idealismo stridente. Frank è stato un pioniere dell’immagine – fissa e in movimento – come strumento per documentare non solo il bello, ma anche l’effimero, il trasgressivo, lo sgradevole. Sapeva che una composizione attenta può creare uno stato estremamente naturalistico, e che l’occhio può trovare la verità anche nel banale.
Sapeva che con una composizione meticolosa poteva mostrare il lato più autentico di una situazione, e che l’occhio può trovare la verità anche nel banale.
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In una delle scene più impressionanti di Cocksucker blues, gli Stones sono del tutto assenti. Bianca Jagger, all’epoca moglie di Mick, è seduta con un’espressione indecifrabile mentre fuma una sigaretta e fa suonare ripetutamente un carillon. In queste immagini il simbolismo di Frank è al suo meglio. Trovandosi al centro dell’edonismo dei Rolling Stones, ma allo stesso tempo estranea al suo lato più dissoluto, Bianca cerca di trovare sollievo nel carillon, l’unico oggetto sonoro che può controllare e che non la abbandonerà per un capriccio.
È un momento incredibilmente intenso, da cui traspare la grandezza delle immagini di Robert Frank, al contempo iconografiche e iconoclaste. Il mondo è pieno di belle foto, sembra volerci dire Frank, ma l’arte si trova ancora in quello che scegliamo di guardare.
(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale. © 2019. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency.


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MessaggioInviato: 15 settembre 2019, 11:34
Messaggi: 209Località: AcirealeIscritto il: 3 giugno 2010, 22:53
Eccellente articolo, mi trova pienamente in linea.


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MessaggioInviato: 16 settembre 2019, 16:08
Messaggi: 310Iscritto il: 18 marzo 2014, 16:17
È davvero un piacere leggere questi articoli.

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