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Indice  ~  Generale  ~  Strutture del Blues e divagazioni varie

MessaggioInviato: 6 marzo 2007, 18:32
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
Bene, visto che la cosa sembra interessare a più di qualcuno, mi permetto di incollare qui dei post che ho già mandato nel 2120. Non ho alcuna pretesa di insegnare niente a nessuno, solo di passare delle informazioni di massima a chi ne fosse sprovvisto. Grazie per l'attenzione!

1° puntata
Non si sa di preciso cosa abbia determinato la codificazione di una struttura che era, sì, molto semplice da un certo punto di vista, ma anche estremamente raffinata da un altro. Il Blues, o meglio, "i" Blues come sarebbe forse più corretto tradurre, sono tutti costruiti su tre accordi: di Tonica, di Sottodominante e di Dominante. Prendendo ad esempio la tonalità di Do, avremo dunque Do, Fa e Sol. È però sicuramente più comodo usare la nomenclatura anglosassone, e scriveremo perciò: C, F e G. Per chi non lo sapesse, mentre noi partiamo dal Do e costruiamo la scala nella classica susseguenza Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si-Do, cioè la scala maggiore, nel mondo anglosassone si parte invece dal La e si ha quindi La-Si-Do-Re-Mi-Fa-Sol-La, cioè la relativa minore. Per comodità, se sostituiamo ai nomi classici una sequenza di lettere dell'alfabeto, avremo A-B-C-D-E-F-G-A. Questo significa che A=La, B=Si, C=Do, D=Re, E=Mi, F=Fa, G=Sol e A=La di nuovo.
Il Blues, come del resto il Jazz che è suo fratello gemello per alcuni e suo figlio per altri, nacque prima di tutto con esigenze estemporanee di improvvisazione: intendo dire che non c'era all'epoca la volontà di attribuirsi la paternità di una composizione, perché tutti quelli che facevano musica la facevano nello stesso modo, usando gli stessi schemi, e quindi l'invenzione stava tutta nel testo e nelle parti strumentali che lo contornavano. Per esempio moltissimi brani della prima ora, ma anche quelli successivi, usavano portare la ripetizione della prima strofa perché così il cantante che stava improvvisando quel testo aveva il tempo di pensare a quello che avrebbe cantato nella terza parte. Si veda come esempio il celebre "Goin' Down Slow" di Billie Holiday, attribuita anche a Otis Spann, Little Walter, Ray Charles e a chissà quanti altri:

Well I've had my fun if I don't get well no more
Yes I've had my fun if I don't get well no more
Well now that my body's getting' sick - Lord I think I'm goin' down
slow!

Non ci si stupisca delle sgrammaticature e dei modi di dire: lo slang è di casa nel blues, e qui non siamo poi distantissimi dall'Inglese parlato anche dai bianchi. Ma si guardi la struttura: si canta la prima strofa e poi la si ripete quasi identica per dare il tempo alla mente di inventare la terza. Furono solo gli allievi dei grandi maestri a codificare e fissare certe forme in stilemi veri e propri e a tramandare tramite scritti e registrazioni quello che fino ad allora era stata una mera tradizione orale. Nulla di strano quindi nel fatto che certi brani vengano tranquillamente attribuiti a due o più autori diversi: nessuno di loro aveva certamente depositato la propria invenzione presso organismi come l'italianissima SIAE, ma nessuno di loro si era neanche mai preoccupato di attribuirsi ciò che riteneva di pubblico dominio. Si parlava tempo fa di "Dust My Broom" che sembra essere sia di Robert Johnson che di Elmore James... il primo aveva sicuramente scritto il testo, il secondo aveva avuto l'idea di metterci lo slide, ma entrambi sapevano che la struttura esisteva da tantissimo tempo prima delle loro registrazioni. Furono le case editrici che si curarono di mettere il nome del compositore sotto al titolo dei pezzi, ma per ragioni esclusivamente economiche, e lo fecero solo nel momento in cui si capì che anche il blues aveva un suo redditizio mercato, magari riservato ai negozi di "Race Music" (Musica di razza nell'accezione peggiore del termine), ma comunque redditizio. I bluesman di allora non si curavano troppo né di riconoscere le fonti da cui attingevano, né di ripetersi spesso proprio perché l'invenzione di quella struttura apparteneva a tempi molto precedenti e perché essendo essa usata da tutti non c'era alcun problema a ripetersi. Elmore James, per esempio, poco tempo dopo il brano citato sopra, ne fece e registrò un altro pressoché identico perfino nel titolo: "Dust My Blues", e nessuno ebbe niente a che ridire.
Alla prossima puntata se non mi lapidate prima...
Stefano

2° puntata
Non è mia intenzione imbarcarmi in una stesura della storia del Blues, né sarebbe questo il contesto adatto per farlo. Chiedo scusa quindi a quelli che me l'hanno in qualche modo chiesto, ma sarebbe davvero impresa troppo ardua anche per un grande appassionato come me. Il mio intendimento iniziale era appunto quello di parlare delle strutture armoniche e ritmiche di questa musica, e magari permettermi di tanto in tanto alcune divagazioni fatte in libertà, come in una conversazione tra amici.
In maniera molto sbrigativa possiamo dire che il Blues, come lo conosciamo oggi, nasce all'inizio del Ventesimo Secolo, sebbene forme estremamente simili ci fossero già nell'Ottocento e forse anche prima. Cosa i musicisti si siano portati con sé dall'Africa non è facile dirlo, e non è nemmeno possibile affermare che forme di Blues fossero in qualche modo presenti nel Continente Nero: sebbene le sonorità e il modo di intendere le tonalità siano indubbiamente di origine africana, furono i neri d'America ad inventare questa forma musicale. Qualcuno, nei post di replica, chiedeva della trasformazione da Delta a Chicago Blues. Attenzione: non si pensi che
TUTTO il Blues ad un certo punto sia improvvisamente passato dall'uno all'altro! Le cose continuarono a coesistere tranquillamente e, col tempo, si contaminarono a vicenda come già era successo precedentemente con altri aspetti di questa musica. C'è infatti una gran confusione di termini: Delta Blues caratterizzato, almeno all'inizio, da chitarra acustica e armonica a bocca - Downhome Blues, o Blues delle origini, in cui si usavano strumenti spesso fatti a mano come flauti in legno o contrabbassi ricavati da scatole di sapone, ma si tratta di un aspetto del Delta Blues - Vaudeville Blues che si avvaleva di orchestrine vere e proprie e che dette luce alle grandi interpretazioni di Ma Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday - il Blues influenzato da contaminazioni francofone, cioè lo Zydeco noto per via dell'uso della washboard (tavola da lavare) e delle posate come strumento ritmico, e il Cajun della Louisiana con violino e fisarmonica o armonium - il Texas Blues, elettrico, di cui il maggior esponente fu T-Bone Walker - e infine il Chicago Blues, elettrico anch'esso, tendente ad organici numerosi quando possibile. Dal momento che ho pure saltato a piè pari altre forme minori per esigenze di brevità, vi sarete resi conto come non sia facile essere precisi ed esaustivi in un ambito come questo. È indubbio però che le varie connotazioni nacquero da esigenze e situazioni socio-economiche. Soprattutto il Downhome e, in genere tutto il Delta, si svilupparono con l'uso di strumenti "poveri" perché poverissimi erano i musicisti che cantavano in quello stile. Non c'erano i soldi per acquistare quelli veri, e allora ci si ingegnava a costruire flauti in legno, contrabbassi fatti con manici di scopa affondati in scatole di sapone o ci si inventavano nuovi tipi di batteria usando posate passate sulla superficie rigata di tavole per lavare come nello Zydeco. I temi trattati erano quasi tutti di natura sessuale: e l'idea da lì attinta che i neri avessero una natura particolarmente esuberante in quel campo, assieme alle danze sfrenate cui spesso si abbandonavano, dettero ai puritani bianchi che vi assistevano motivo sufficiente a creare il luogo comune che i neri fossero animali privi di moralità e che il Blues fosse la musica del Diavolo... Non si accorsero, i bianchi appunto, che spesso dietro parole come "Mean mistreater" rivolte ad una presunta amante infedele, o dietro a tutti i testi che usavano epiteti piuttosto pesanti nei confronti di donne dai facili costumi, c'erano lamenti ed accuse rivolti ai padroni sfruttatori e spietati, e che quindi il parlare di amori infranti o traditi o di maltrattamenti da parte dell'amata era un vero e proprio gergo per poter in realtà rivolgersi alla classe dominante senza che questa avesse motivo per reagire. Ad ogni buon conto, per quanto riguarda le origini ci possiamo avvalere solamente di una tradizione orale, ed è facile capirne il perché. Il Blues, e comunque la musica nera in toto, non erano certamente ritenuti patrimonio culturale da parte dei bianchi, ma, anzi, qualcosa di sordido e immorale di cui era meglio dimenticare perfino l'esistenza; i neri non avevano alcuna possibilità economica per poter tramandare ai posteri le loro tradizioni tramite pubblicazioni di qualsiasi tipo, e dunque non rimaneva che il passaggio di bocca in bocca. Le cose cominciarono a cambiare quando gli ex-schiavi (ovviamente solo una ristretta élite) acquisirono maggior indipendenza economica, e questo avvenne come conseguenza del processo di industrializzazione: grandi masse di black people si allontanarono dai campi di cotone per raggiungere i grandi poli siderurgici dove andarono a fare gli operai. Non è che lì avessero una vita splendida: lavoravano anche più di 12/14 ore al giorno in condizioni che un bianco non avrebbe mai accettato, prendevano stipendi da fame, ma la situazione, almeno per molti, era comunque più vivibile della precedente. Se non altro c'erano giorni di riposo in cui potersi divertire in modi abbastanza miseri tramite i pochi soldi che riuscivano a guadagnare, ma prima non avevano nemmeno quello. Ricordo a questo proposito quanto ci misi a capire il testo di Stormy Monday Blues di T-Bone Walker che qui di seguito riporto:

They call it Stormy Monday
But Tuesday is just as bad
Wednesday is worse
And Thursday is also sad
I Eagle fly on Friday
And Saturday I go out to play
Sunday I go to church
Lord I kneel down and pray
Lord have mercy
Please Lord have mercy on me
Lord have mercy
I'm so much in misery
I'm crazy about my baby
Please send her back to me.

Molti siti blues anche americani portano versioni diverse di questo testo, ma quello che ho scritto è l'unico corretto perché così me lo ha recitato James Cotton. Il primo però a darmi una spiegazione finalmente comprensibile della 5° riga fu Eddie Campbell. T-Bone infatti non canta "The eagle flies" o "The eagles fly" ma proprio "I Eagle fly", frase che mi è risultata un mistero per tantissimo tempo. Bene, bisogna tener conto che la moneta del Dollaro americano porta sulla seconda faccia proprio l'effigie dell'aquila, simbolo dell'America: l'espressione "I Eagle fly" significa dunque "prendo la paga" appunto di Venerdì poiché gli operai venivano pagati a settimana.
Alla prossima puntata, ciao!
Stefano


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MessaggioInviato: 6 marzo 2007, 19:04
Avatar utenteMessaggi: 2279Località: TORINOIscritto il: 12 luglio 2006, 20:04
grazie Stefano!! :D


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MessaggioInviato: 6 marzo 2007, 19:18
Avatar utenteMessaggi: 560Località: LondraIscritto il: 4 dicembre 2006, 16:49
grazie mille <)


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MessaggioInviato: 6 marzo 2007, 20:14
Messaggi: 3784Iscritto il: 7 luglio 2006, 14:44
Stefano, grazie!!

Aspetto con ansia la 3a puntata :wink:


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MessaggioInviato: 6 marzo 2007, 20:18
Avatar utenteMessaggi: 2966Località: Lamezia TermeIscritto il: 16 febbraio 2007, 19:51
ottima la tua idea Stefano!!!

Giuliano <)


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MessaggioInviato: 7 marzo 2007, 13:01
Avatar utenteMessaggi: 4403Località: CelleIscritto il: 18 settembre 2006, 13:04
il Papa ha scritto:
Il primo però a darmi una spiegazione finalmente comprensibile della 5° riga fu Eddie Campbell. T-Bone infatti non canta "The eagle flies" o "The eagles fly" ma proprio "I Eagle fly", frase che mi è risultata un mistero per tantissimo tempo. Bene, bisogna tener conto che la moneta del Dollaro americano porta sulla seconda faccia proprio l'effigie dell'aquila, simbolo dell'America: l'espressione "I Eagle fly" significa dunque "prendo la paga" appunto di Venerdì poiché gli operai venivano pagati a settimana.


Finalmento ecco spiegata la faccenda dell'aquila (io ho sempre cantato "the eagle flies" :oops: )

grazie!


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MessaggioInviato: 7 marzo 2007, 15:35
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
3° puntata
Ma veniamo all’oggetto di tutta questa serie di post, e cioè le strutture vere e proprie. Intorno ai fatidici tre accordi di cui abbiamo parlato all’inizio, vennero via via consolidandosi nel tempo alcuni schemi che, nonostante quanto si crede comunemente, sono molto diversi fra loro e ammettono eccezioni anche molto evidenti. A questo contribuirono due fattori abbastanza comprensibili: il primo sta nell’esigenza di seguire un testo che veniva molto spesso improvvisato al momento, e il secondo sta nel bisogno di creare qualcosa di “diverso”, di “personale”, pur restando entro schemi sufficientemente standard. Che debba essere il testo ad avere priorità su tutto è una regola seguita dalla stragrande maggioranza dei bluesman della prima e anche della seconda generazione, ed è pure una regola rispettata inderogabilmente da Charlie Watts: e questo spiega i punti d’appoggio dei suoi pattern, la collocazione dei suoi fill-in, nonché certe scelte di ritmi che a molti batteristi italiani risultano quanto meno “strane”. È una mentalità tutta europea, o comunque bianca, quella di voler trovare la simmetria delle misure ed un numero esatto di queste. Loro, i “veri”, se ne fregano alla grande: ciò che conta è il cantato anche quando esso impone delle misure dispari o dei tempi d’attesa più lunghi rispetto ad un calcolo aritmetico. In un paio di occasioni ho avuto l’onore di accompagnare Louisiana Red e, poiché anch’io all’epoca credevo nell’inderogabilità delle 12 battute e nei cambi regolari, fu un vero e proprio inferno cercar di stargli dietro: una strofa la suonava in 12, un’altra in 10, quella dopo in 13… come capitava insomma! Le cose cambiarono solo quando cominciai ad ascoltare per davvero ciò che cantava e… ma certo! Il cambio non poteva che arrivare dopo quelle parole, non prima e non dopo, sennò la strofa sarebbe risultata monca, incompleta, priva del suo reale significato! Altro esempio illustre, la Rollin’& Tumblin’ di Muddy Waters: il riff fra le strofe ha una mezza battuta in più per permettere una maggior tensione e lanciare meglio la voce (contare per credere): provate a togliere ciò che matematicamente è in più, e il pezzo risulterà meno carico e meno danzante! John Lee Hooker, per contro, scelse quasi sempre la strada di non cambiare proprio, e i suoi brani sono in un unico accordo, si direbbe “modali” (il termine “modale” in musica ha un’accezione specifica che se già non conoscete vi invito a controllare: http://it.wikipedia.org/wiki/Musica_modale - http://en.wikipedia.org/wiki/Musical_mode ) se non fosse che la voce comunque dà lo stesso il senso della ciclicità delle strofe. Altro invece è la celeberrima “Wang Dang Doodle” di Willie Dixon, dove la scelta modale è estemporanea e ad effetto. Da tutto questo se ne deduce che gli schemi standard che ora cercherò di descrivere devono essere presi solo come punti di riferimento, e non come vincoli assoluti.
Non è dato sapere con esattezza quale schema nacque per primo, ma sono propenso a credere che si trattasse del Blues in 8 misure (8 moduli da 4/4). Prendendo a solo titolo d’esempio la tonalità di Do, avremo:
Immagine
Il primo ricalca la struttura di You Gotta Move, ma si noti che questa è in realtà in 7 misure (non c’è l’ 8°) perché Fred Mc Dowell se ne fregava e la preferiva così, e gli Stones l’hanno rifatta com’era. Per sentire il feel della struttura in 8 aggiungete dunque 4/4 in C alla fine. Lo schema B si rifà invece a Down in Mississippi di J.B. Lenoir (curioso il cognome che in Francese significa “Il Nero”), mentre il terzo è quello seguito da Midnight Special di Leadbelly, che diventò un successo anche per i Creedence Clearwater Revival e per lo Spencer Davis Group). Da notare che nel terzo caso, poiché l’inizio in F crea di fatto una cadenza d’inganno (sembra una tonalità diversa da quella reale) si usa, come in tutti casi simili, aggiungere un paio di battute “fuori” (una specie di intro) nella tonalità base del pezzo. Di solito queste battute sono una specie di coda tratta dalla misura 8 di un’ipotetica esecuzione già iniziata in precedenza ma che di fatto non c’è. Un’altra considerazione riguarda la natura degli accordi stessi (le scale della melodia saranno oggetto di altre analisi più avanti): come si nota sono tutte semplici triadi, senza alcuna alterazione. Solo in un secondo momento si cominciarono ad usare gli accordi di settima, e lo si fece in modo assolutamente anomalo, come anomale sono quasi tutte le caratteristiche del Blues in genere. Intendo dire che alla triade maggiore veniva sovrapposta la settima minore (C-E-G-Bb) creando così quello che in musica classica si chiama accordo di settima di dominante. Il punto però è che nel Blues tale accordo si usa anche sulla tonica e non solo sulla dominante, creando di fatto una vera e propria sgrammaticatura a livello teorico. Ma di questo, e di altre caratteristiche ancora più importanti, parleremo in post successivi. Negli esempi citati l’accordo di settima venne usato soprattutto per creare una tensione atta ad annunciare il cambio susseguente, trasformando la struttura in questo modo:
Immagine
Ulteriori alterazioni vennero applicate più tardi, soprattutto a causa dell’entrata in scena dei pianisti. Il loro strumento, infatti, porta molto più istintivamente alla creazione di armonie complesse data la possibilità di usare fino a 10 note diverse contemporaneamente, poiché 10 sono le dita; la chitarra può arrivare al massimo a 6, ma bisogna tener conto della sovrapposizione delle ottave che di fatto limita molto più di quanto sembri le possibilità armoniche dello strumento a corda. Ci si chiederà come i neri avessero potuto imparare a suonare il pianoforte, strumento molto caro anche nelle sue versioni più economiche. Bene, bisogna considerare il fatto che, specialmente negli Stati del Sud, vi era un grandissimo numero di case di tolleranza, e al pianterreno di queste “Red House” (vi ricorda niente?), o “Barrel House” da cui la moderna parola “bar”, era collocato un locale molto ampio dove si offrivano bibite alcoliche e intrattenimento musicale di pianoforte ai clienti che aspettavano il proprio turno per salire ai piani superiori, e dove essi potevano anche ammirare e scegliere le “signorine” che esibivano le proprie mercanzie. Ovviamente nessun bianco puritano si sarebbe mai prestato a suonare in simili ambienti (ci entravano solo come avventori!), ma i neri sì: ed ecco spiegato come molti di questi impararono il pianoforte. Sta di fatto però che l’uso del pianoforte cominciò un processo che, con l’andare del tempo, contribuì non poco a trasformare l’originale Blues immediato e ruspante in Jazz raffinato ma forse meno istintivo.
Nei prossimi post il Blues in 16 e in 12 misure.
Ciao
Stefano


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MessaggioInviato: 7 marzo 2007, 17:14
Messaggi: 2319Località: siciliaIscritto il: 24 maggio 2006, 15:51
Tutto ciò è FANTASTICO!!


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MessaggioInviato: 7 marzo 2007, 19:53
Messaggi: 3784Iscritto il: 7 luglio 2006, 14:44
sleazy ha scritto:
Tutto ciò è FANTASTICO!!


Non oso aggiungere altro!


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MessaggioInviato: 7 marzo 2007, 20:02
Avatar utenteMessaggi: 2966Località: Lamezia TermeIscritto il: 16 febbraio 2007, 19:51
Stefano è un piacere questa tua iniziativa

saluti
Giuliano <)


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MessaggioInviato: 9 marzo 2007, 20:49
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
4° puntata
Dal momento che sto scrivendo di getto, chiedo scusa, ma qualche volta ho bisogno di integrare in seconda istanza, anche grazie ai vostri commenti e contributi. Torniamo quindi un attimo al Blues in 8 perché mi sono accorto di non aver citato i due brani forse più noti, e in fin dei conti anche più rappresentativi, che riportano quella struttura: It Hurts Me Too di Elmore James e Worried Life Blues di Maceo Merryweather. Sono pezzi estremamente simili che si assomigliano nella linea melodica oltre che in quella armonica. Ma nel tempo hanno assunto connotazioni diverse per le interpretazioni che i vari artisti ne hanno fatto. Nascono entrambi più o meno così:
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Worried Life Blues però, per qualche motivo che sfugge ad ogni spiegazione, fu più spesso interpretata da personaggi come B.B. King o i bianchissimi Allman Brothers Band che la sentivano con un feel venato di Jazz, e nel tempo l’iniziale struttura si trasformò come segue:
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Lo schema però che nel tempo divenne una specie di codice universale di strutturazione cui si attennero in toto o in parte tutti i musicisti Blues è quello delle fatidiche 12 misure. Per capirlo meglio è molto utile considerarlo come un assieme di 3 blocchi di quattro misure ciascuno
Immagine
Stranamente questa iniziale struttura fu cambiata assai presto, ma si mantenne inalterata in certi brani di Rock And Roll: uno per tutti Johnny B. Goode di Chuck Berry.
La prima trasformazione si ebbe nel blocco C: dapprima solo nella seconda misura e poi anche nelle ultime due, che da quel momento assunsero il nome di “turn around” proprio per il “giro” di accordi che vennero a contenere. Si aveva quindi una specie di ripartizione progressiva nei 3 moduli: 4 misure uguali nel primo, 2+2 nel secondo, e 1+1+1+1 nel terzo. Ma, specie nei lenti, il primo blocco risultava troppo “lungo” e bisognava introdurre qualche cambiamento anche lì per togliere il senso di “pesantezza” che si veniva a creare. Ecco quindi apparire una sottodominante nella seconda misura, e così si definì lo standard per antonomasia che appare come segue:
Immagine
Ho volutamente tralasciato i particolari sulle alterazioni poiché queste non fanno parte dello standard ma attengono al gusto del singolo musicista. Il “colore” determinato dalla qualità delle alterazioni, infatti, può far sì che il Blues oscilli fra il Jazz e il Rock accostandosi di più all’uno o all’altro proprio in base agli accodi usati. Ma qui si entra nel campo del lessico, e di questo vorrei parlare più avanti. Per il momento basti dire che qualsiasi accordo in qualsiasi misura viene spesso se non addirittura sempre cambiato in accordo di settima (minore) o di nona, e si ammettono passaggi di tredicesima. Il tema delle sostituzione d’ accordo è però talmente ampio e complesso che rimando chi voglia approfondire l’argomento a una delle tante pubblicazioni che esistono, o a qualsiasi motore di ricerca dove basterà digitare “sostituzione d’accordo” , “chord change” o “chord progression”. Lo schema sopra descritto si applica a una gran quantità di pezzi, da “Stormy Monday Blues” (versione originale non quella degli Allman Bros) a “I’m Tore Down”, da “Goin’ Down Slow” a “Got My Mojo Workin’”, da “Caledonia” a “Sweet Home Chicago”… e chi più ne ha più ne metta. Ci sono ovviamente poche eccezioni dove si ricorre a piccole varianti, ma sostanzialmente la struttura rimane quella. Vi è però un’altra tipologia di pezzi, alternativa a questa, cui appartiene una quasi uguale quantità di standard: è quella di “Little Red Rooster” o di “Rock Me Baby” tanto per citare due grandi classici. Nei brani strutturati in questo modo si comincia sempre con un paio di misure “fuori” per evitare l’effetto cadenza d’inganno, ma la loro struttura fondamentale appare così:
Immagine
Infine due parole sul Blues in 16. Nasce solo un po’ più tardi delle altre forme, ma anch’esso acquisisce quasi subito lo “status” di standard. Esempi assai chiari di questa struttura sono “My Babe” di Willie Dixon o “I Got A Woman” di Ray Charles sebbene quest’ultima sia attinta da un Gospel e quindi non appartenga totalmente al mondo del Blues. Anche qui, per esigenze di chiarezza, scomponiamo le 16 misure in 4 blocchi di 4 e avremo:
Immagine
Sarebbe necessario a questo punto prendere in esame le varie contaminazioni che Blues, Gospel, Spiritual e più tardi anche Rock & Roll si donarono a vicenda. Non è nemmeno difficile capire perché successe: era tutta musica proveniente dalla stessa matrice culturale, e i musicisti non hanno mai amato le scatole etichettate entro cui i critici li vorrebbero imprigionare, ma hanno sempre scelto di percorrere la strada della libera espressione usando tutto il bagaglio di conoscenze che potevano avere. Quello che è certo, però, è che un simile discorso non può essere sviluppato entro i limiti di questa estrema sintesi che vi sto proponendo sotto forma di post. Diciamo comunque che quando un pezzo ricalca le strutture sopra esposte può essere collocato tranquillamente nell’area del Blues, quando vi si allontana anche di pochissimo, magari aggiungendo solo un bridge come nel caso di “Mustang Sally”, si usa collocarlo nell’ambito del Rhythm & Blues o in una sua area specifica che è il Soul. Ciò che lega tutte queste cose è sempre quel minimo comun denominatore ben preciso costituito dal lessico. Un’ultima parola infine per il Blues in minore tanto aborrito da Ian Stewart: nella quasi totalità dei casi si tratta di strutture in 12 misure che ricalcano pari pari quelle sopra esposte con l’unica variante che gli accordi sono in minore. Ci sono parecchi esempi però dove, mentre tutto il resto è in minore, la sola dominante è maggiore: piccole varianti, ma in grado di costituire una tipologia specifica.
Nel prossimo post il lessico.
Un abbraccio
Stefano


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MessaggioInviato: 10 marzo 2007, 18:28
Messaggi: 3784Iscritto il: 7 luglio 2006, 14:44
Ho appena finito di leggere la 4a puntata...

Grazie!!! <)


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MessaggioInviato: 10 marzo 2007, 18:46
Avatar utenteMessaggi: 560Località: LondraIscritto il: 4 dicembre 2006, 16:49
e' veramente intressante grazie 1000 <)


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MessaggioInviato: 11 marzo 2007, 15:11
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
Ringrazio tutti quelli che mi hanno letto e ovviamente ancora di più tutti quelli che hanno voluto spedire un commento! Poiché può generarsi confusione, permettetemi però di ricordare che tutti i brani schematizzati sono stati trasposti in Do per avere un unico rifermento, ma è ovvio che gli originali possono essere in ben altre tonalità.
Alla prossima puntata, ciao!


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MessaggioInviato: 13 marzo 2007, 16:18
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
Il Lessico Blues 1°

Bene, eccoci qua con la parte più saliente e, spero, interessante di questa serie di post. Ma saranno necessarie alcune premesse per evitare fraintendimenti:
• Il lessico è cosa assai sottile e non è possibile in alcun modo proporne l’apprendimento in uno scritto, specie se costretti entro i limiti di brevità imposti da questo mezzo. Ciò che si può proporre è soltanto la focalizzazione dell’attenzione su alcuni elementi: spetta poi ad ogni musicista sviluppare per conto proprio un percorso di acquisizione personale secondo le proprie attitudini.
• Il sottoscritto è un chitarrista e, in quanto tale, ha una visione che privilegia gli aspetti inerenti al proprio strumento. Ma si deve tener conto che, pur rimanendo all’interno di un lessico, ogni strumento esige un suo modo particolare di applicarlo.
• L’acquisizione di un lessico in modo coerente richiede, specie da parte di chi ne è lontano per cultura, sforzo ed estrema concentrazione su particolari e sfumature.
• Il genio per sua natura infrange le regole, ma solo dopo averle acquisite. Senza la preventiva acquisizione delle regole non si può parlare di genio ma solo di casualità estemporanea.
Ma veniamo agli aspetti caratterizzanti il Blues e i suoi parenti più stretti. Non c’è, ovviamente, un ordine gerarchico da seguire, ma ognuna delle cose che prenderemo in esame ha uguale importanza.

Priorità del ritmo.
Tutte le parti, nessuna esclusa, privilegiano sempre e comunque l’aspetto ritmico. Questa tendenza affonda le proprie radici nella cultura tribale africana: in quel contesto nacquero sicuramente per primi gli strumenti a percussione, e solo più tardi gli altri, prevalentemente a corda. Le melodie erano affidate alle sole voci che comunque rimanevano caratterizzate da una forte connotazione ritmica. Quando i neri arrivarono in America produssero come prima espressione le cosiddette “work song”, cioè quei canti corali il cui ritmo serviva principalmente a coordinare il lavoro nei campi o altrove. Le work song evolsero ben presto in altre forme man mano che le condizioni socio-economiche lo permisero, ed ecco i Blues, i Gospel (testi religiosi messi in musica), gli Spiritual (testi riguardanti lo spirito, ma non testi sacri), il Jazz e per ultimo il Rock. Ovviamente nel Blues non stiamo parlando di ritmi esasperati come succederà più tardi nel Funky, ma si tratta più che altro di una “danza”, dello swing sempre presente anche nella voce, del dialogo tra gli strumenti sempre teso a coniare un “groove” anche nei pezzi lenti.

L’importanza dei silenzi
Il Blues va suonato sfruttando a fondo la tensione creata dalle pause, a volte anche lunghe, sia nelle melodie che negli accompagnamenti. Spesso i musicisti suonano sottintendendo una parte che non viene suonata da nessuno, ma che tutti hanno in testa e che funziona perciò da tappeto invisibile (o inaudibile) su cui si poggia tutto il resto. Tale artifizio fa sì che anche armonizzazioni estremamente scarne abbiano comunque un senso ritmico molto preciso ed efficace. Ciò si ottiene, per esempio, con accordi “strappati” a battute alterne sul battere e sul levare: se fossero suonati regolarmente non creerebbero né rimo né tensione (è la tecnica usata superlativamente da Richards in HTW); oppure si pensi al tipico modo texano di accompagnare lo shuffle tutto sul levare come in Pride and Joy di Vaughan. Importantissimi i silenzi anche nelle parti melodiche: si ascolti, un brano per tutti, l’introduzione di “The Thrill Is Gone” fatta da B.B. King, e si faccia attenzione a quante pause il grande maestro mette fra un lick e l’altro. E questo porta direttamente al punto seguente:

Chi più ne ha MENO ne metta
Una volta Alexis mi disse: “Il vero musicista Blues non emette mai una nota che non sia assolutamente indispensabile”. Le “schitarrate” fiume fatte da diecimila note sono più adatte al rock (sempre che piacciano); nel Blues si privilegia sempre la qualità sulla quantità, non ci sono mai “svisi” inutili, ma tendenzialmente si tenta di fare con la chitarra quello che si farebbe con la voce. Meglio trattenere tutta l’energia che occorre per suonare 10.000 note e riversarla tutta solamente su 3: avete un’idea di che note verranno fuori? È inoltre necessario dare respiro ai soli, usando frequenti pause anche in quel contesto: in tal modo le frasi che si costruiscono saranno molto più evidenti all’ascoltatore che avrà modo di farle sedimentare nella propria mente e nel proprio cuore se lo meritano; inoltre l’attesa creerà tensione e la frase seguente ne verrà valorizzata. (si prenda esempio dai tre King: Freddie, B.B. e soprattutto Albert. Altri chitarristi da ascoltare con attenzione sono Luther Allison, Matt Murphy, Buddy Guy e Albert Collins per restare nell’ultima generazione: lasciate stare il pur bravo Steve Ray Vaughan, perché quello che suona è Rock-Blues alla texana, non Blues; e lasciate stare anche il tanto frainteso Robben Ford che suona una fusion molto contaminata o comunque cose che ben poco hanno a che vedere col Blues vero. Questi ultimi sono artisti che sicuramente meritano stima, ma non aiuteranno nessuno a capire come si suona il Blues.

Le dinamiche
Giocare sulle dinamiche, cioè usare il volume emesso da tutto il gruppo come mezzo di espressione, non è certamente prerogativa esclusiva del Blues, ma di qualsiasi genere musicale. Ciò che rende il Blues unico anche sotto questo aspetto è una specie di guida alla rovescia. Intendo dire che normalmente, partendo da un volume medio, si usa il crescendo per arrivare ad una vera e propria esplosione di volume liberatoria. Ma il punto sta proprio lì: la liberazione mette la parola fine alla tensione e a quel punto il pezzo potrebbe anche finire. E infatti nel Rock abbiamo moltissimi brani in cui vi è un eccellente uso della dinamica concepita in questo modo: si pensi al finale di Stairway To Heaven… dopo l’assolo di chitarra si arriva con grande energia allo staccato che appoggia la voce sugli acuti finali e, dopo lo sfogo, ecco arrivare la conclusione quasi in un fade out. Oppure si prenda Ezy Rider di Hendrix: lì il volume sale sulla conclusione di note sulle ottave della seconda parte della tastiera della chitarra e, quando tutti si aspetterebbero un accordo conclusivo, Jimi invece sale ancora e sembra quasi volar via altissimo nel cielo fino a scomparire totalmente dalla vista. Nel Blues si rovescia tutto: anche lì si usa il crescendo, talvolta in modo esasperato e, quando tutti si aspetterebbero l’esplosione finale, c’è invece un calo subitaneo e drastico di volume raggiungendo livelli quasi “confidenziali”, “sussurrati”, creando in questo modo una tensione immensa che cattura l’anima.
Nella prossima puntata gli accordi e le scale
Ciao!


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