Messaggi: 4404Località: CelleIscritto il: 18 settembre 2006, 13:04 |
Ho ritrovato un articolo che avevo scritto anni fa per una fanzine. Ve lo propongo come spunto di discussione, se volete.
C'era una volta il doppio LP.
Archeologia musicale e durata del supporto fonografico.
"...quando videro Wuschel immobile sul selciato, capirono tutti che il colpo era andato a segno. [...] Wuschel giaceva sulla strada, non si muoveva, e tutti piangevano. All'altezza del cuore il proiettile aveva strappato la giacca. Tutti avevano sempre sperato di non assistere mai a una scena del genere. Ma ora era successo. Wuschel si muoveva ancora. L'esistenzialista si chinò su di lui, per sistemarlo in modo che almeno potesse morire in una posizione comoda - ma improvvisamente Wuschel si tirò su. Sbottonò la sua giacca e ne estrasse, ancora stordito, Exile on Main Street. Il disco era spaccato dal colpo, ma gli aveva salvato la vita. Wuschel cominciò a piangere. "La stampa inglese autentica!", singhiozzò tirando fuori i frammenti di Exile dalla copertina sbrindellata. "Era nuovo! e ancora incellofanato! E ora sono rotti, tutti e due! Era un album doppio!" Wuschel era scoppiato in lacrime. "Wuschel, se fosse stato solo uno..." [...] "Uno non sarebbe stato sufficiente, Wuschel", disse il signor Kuppisch. "Sì è vero", disse Wuschel, scosso dai singulti. "Però!" (dal romanzo "All'estremità breve della Sonnenallee", Thomas Brussig, 1999)
Questo non vuol essere (soltanto) il lamento di un giovane vecchio musicofilo - musicista disadattato e avulso dal fluire degli eventi (non solo) discografici, ma più che altro una riflessione su quanto aspetti esterni, e in quanto tali non strettamente artistici, possono influenzare la qualità di un prodotto.
Come è ben noto la possibilità di registrare musica ha cambiato totalmente il rapporto dell'esecutore e/o compositore con il fruitore, ovvero ha decontestualizzato la musica rendendola non soltanto bene fruibile dovunque al di fuori dei luoghi preposti per l'esecuzione, ma anche banalizzandola in maniera non paragonabile ad altre arti fornite su supporto individuale, perché se uno può comunque appendersi in casa una riproduzione di un Vang Gogh (o un originale se può buon per lui) e passarci davanti tutte le volte che va al cesso, non capita spesso (per ora) di assorbire casualmente pagine di letteratura o scene di film mentre siamo su un ascensore, aspettiamo che qualcuno risponda al telefono, o siamo sdraiati sulla spiaggia, eccetera, eccetera. Se nei secoli scorsi chi scriveva musica (dalla canzone alla sinfonia; dal concerto alla musica sacra, da ballo, o per i reali fuochi d'artificio) spesso era legato a schemi di durata precostituiti, ovvero già non poteva comporre un'opera di venticinque ore perché la gente probabilmente si sarebbe addormentata o dileguata, ma comunque c'erano anche vincoli stilistici ben definiti il cui mancato rispetto costituiva spesso infrazione e talvolta innovazione estrema, l'avvento della registrazione cambiò radicalmente il rapporto con la musica, non nel comporre, ma nel decidere quali e quante composizioni avrebbero visto la luce e in che rapporto fra loro, tenendo conto che col passare degli anni non sarebbe più stata considerata la composizione in sé ma il suo ruolo nel contenitore, se non il contenitore stesso.
Veniamo al contenitore e quindi, nel periodo compreso approssimativamente tra gli anni sessanta e ottanta, il long playing in questione, in tutti i suoi svariati aspetti. Copertina di cartone, semplice o apribile, vinile, lp, durata media trentotto, quarantadue minuti, durata massima quarantotto, cinquanta minuti (erano quelli che per un pelo non stavano sulla cassetta da 45: qualcuno se lo ricorda?), una decina di canzoni: prezzo medio, ovvero i soldi che un adolescente può (poteva) spendere una o due volte al mese per beni voluttuari e corrispondente all'incirca a cinque volte il prezzo di un 45 giri (comprendente generalmente due canzoni, massimo tre, il singolo vero e proprio e la facciata B: e già qui ci sarebbero alcune considerazioni).
Generalmente quando un artista singolo o un gruppo va in studio di registrazione lo fa con una serie di brani già abbozzati, oppure con idee che verranno sviluppate in loco, e comunque se ha un minimo di ispirazione (vogliamo assumere che sia così dato che parliamo comunque di lavori perlomeno validi) come risultato finale si troverà in mano un numero non definito di canzoni tra cui scegliere. Ma scegliere in base a cosa? Bene: abbiamo una ventina di canzoni, settanta minuti? Naturalmente per realizzare un LP singolo bisogna eliminarne da otto a dieci: naturalmente non tutte le venti canzoni sono dei capolavori, e togliendone quasi la metà già la qualità media si alza (sempre che non togliamo anche quelle buone, ma questo è un rischio che vale la candela, come ben sa il signor Springsteen, anche lui un doppio LP in carriera "the river", che all'epoca tenne fuori da alcuni LP canzoni memorabili, di cui comunque ha stampato qualche anno fa quattro (QUATTRO!) cd, ricuperando ampiamente). Abbiamo trenta o più canzoni? OK, facciamo un disco doppio ALT! disco doppio? ma sai quanto costa, la gente lo compra poi un disco doppio? bisognava pensarci bene: ed ecco che il disco doppio (attenzione: 70-80 MINUTI di musica) diventava un EVENTO.
E a questo punto cito a titolo di esempio un paio di titoli (che sono anche stati accostati dalla stampa) basilari per chiunque ami il rock: "London calling" dei Clash ed "Exile on main street" dei Rolling Stones: ascoltiamoli, teniamo conto del fatto che hanno avuto origine da un momento estremamente peculiare, prolifico e creativo dei due gruppi, e consideriamo infine che entrambi (se avete il cd lo sapete già, ma potete benissimo immaginarlo) sono tranquillamente contenuti in UN SOLO cd. Prendiamo anche i Beatles, che scegliendo tra le canzoni dell'album bianco avrebbero potuto fare un ottimo disco singolo, ma il polpettone omnicomprensivo che ne risulta rappresenta comunque un disco ricchissimo e originale, addirittura per molti il loro migliore. Spesso però capitava che il doppio LP fosse in bilico tra essere considerato un capolavoro oppure un campione di ridondanza e presunzione. E qui viene a galla il problema: se una volta l'ora abbondante di magniloquenza se la poteva permettere principalmente un artista al top (soprattutto economicamente), al giorno d'oggi non la si nega a nessuno: siamo abituati al cd e alla sua portata massima. Bene, ci stanno 80 minuti, e allora giù cd di 50, 60, 70 minuti, con dentro anche la peggiore delle canzoni (leggi "scarto"), magari come "ghost track".
Oggi quando compriamo un'edizione su cd di un vecchio disco ce la infarciscono di inediti, versioni alternative e riempitivi vari, per colmare lo spazio, ché se uno compra un cd e dura "soltanto" una quarantina di minuti si sente defraudato: "ma come, ce ne stanno almeno 70 di minuti, con quello che costa...", poi se il materiale supplementare è particolarmente abbondante ecco che il cd diventa doppio, e questo funziona benissimo in casi particolari come il "Live at Leeds" degli Who che originariamente non era neanche un doppio LP, sebbene le registrazioni del concerto rappresentassero materiale esplosivo e ad altissimo livello di esecuzione musicale.
Ma i dischi dal vivo costituiscono un discorso a parte perché comunque un concerto non influisce sulla produzione artistica, dura almeno un'ora e mezza e un disco singolo di un concerto lascia sempre un poco insoddisfatti, e quindi ben venga la durata, come nel caso citato degli WHO, ma anche di altri dischi importanti, come "Four way street" di CSN&Y, "Waiting for columbus" dei Little Feat, "The song remains the same" degli Zeppelin, ma la lista sarebbe lunga.
Tutta questa sovrabbondanza va bene anche per gli appassionati (leggi "fulminati") che hanno già il vinile originale, tutte le canzoni "inedite" perché nel frattempo le avevano cercate nei meandri delle discografie pirata, nelle versioni giapponesi, nei b-side, nelle edizioni per i collezionisti, per i membri del fan club e, nell'era telematica, su internet; sono già in possesso del cd rimasterizzato e ora si cuccano pure la "de-luxe edition" perché c'é anche la versione del pezzo in cui il gruppo ha suonato 30 secondi poi si è fermato, quella registrata come demo in salotto con la chitarra acustica scordata e quella "alternativa" perché la terza parola del secondo verso non è "babe" ma "baby" e al batterista dopo il ritornello è scappato un rutto. Ma a chi non ha mai ascoltato la potenza originaria di un lavoro ottimo, anche se magari datato o da considerare nella sua versione e valenza storica, che effetto farà un minestrone di un'ora e dieci, a volte due ore, in cui si perde tutto l'effetto originario, che era stato ottenuto escludendo e rimaneggiando fino al condensato finale. Il risultato è simile a quello che si avrebbe leggendo una pubblicazione recante non solo le varie stesure di un romanzo, con tutte le cancellature, ma anche le liste della spesa dello scrittore, il che può essere interessante per l'appassionato ma penalizza l'effetto pensato dall'autore licenziando l'opera.
Questo riguarda i dischi vecchi e fondamentalmente è un argomento minore: quel che è stato è stato: ma qui termino sulla questione di base, e cioè sul vincolo come stimolo di autocritica e quindi di miglioramento della qualità artistica. Non voglio dire che quanto di nuovo viene oggi pubblicato su cd abbia meno valore, ma soltanto che alcuni vincoli tecnici e di durata hanno costituito spesso stimoli alla produzione artistica, che venendo a mancare possono dare via libera a un'eccessiva autoindulgenza, penalizzante per il risultato e per chi ne fruisce.
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