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Indice  ~  Get Off Of My Cloud  ~  Tu vuò fa l'americano? Da Carosone ai gruppi rock di oggi

MessaggioInviato: 2 dicembre 2009, 23:59
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
Stimolato dalla presenza di una discussione di un gruppo siciliano che fa un hard rock bluesato, mi sono venute certe domande:

1) è normale che un gruppo italiano si rifaccia alla musica angloamericana
2) è normale che canti in inglese
3) è normale che ci si rifaccia ad una musica folk estera (blues o country ad esempio)
4) oppure come in questo caso ci si rifaccia ad un rock "autoriale" di una fase storica precisa ovvero i primi anni 70

Ovvero non è che dovremmo fare gli italiani e magari rifarci alle nostre tradizioni musicali (questo discorso esula logicamente dalle tribute band che sono una cosa ovviamente diversa).

E non è che essendo nel 2010 ha un pò poco senso rifarsi agli anni 70 in una maniera così smaccata

Spero che intervengano anche Zac o Vince che suonano in gruppi di materiale proprio oltre che di cover stonesiani. Vorrei capire qual è il ragionamento che sta dietro ai percorsi di chi suona musica rock.


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 0:01
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
ZAC HA RISPOSTO COSì:

Il discorso è amplissimo e lo possiamo affrontare in più riprese. Iniziamo con le quattro domande.
Che poi "normale" cosa vuol dire? che è la norma? allora sì, è la norma. Che è lecito? Che è da accettare o da condannare?
1) se gruppi anglosassoni si sono rifatti al blues americano non vedo problemi, ti rispondo con un'altra domanda, è normale che un diciotenne bianco cresciuto con la lingua di shakespeare si rifaccia a negri scarsamente alfabetizzati cresciuti come braccianti?
2) all'epoca dei romani c'erano spagnoli e nordafricani che "cantavano" in latino, era la lingua dell'impero, nel rock la lingua dell'impero è l'inglese, che poi si possano ottenere buoni risultati in altre lingue è comprovato, ma la lingua dell'impero è la più invitante
l'opera lirica si poteva fare anche in tedesco, francese, ma l'italiano dominava e dava risultati apprezzatissimi
3) perché non rifarsi a musiche estere?
4) perché non rifarsi a qualcosa che ti piace e giudichi valido?


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 0:10
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
Che poi "normale" cosa vuol dire? che è la norma? allora sì, è la norma. Che è lecito? Che è da accettare o da condannare?

Qualsiasi aggettivo avessi messo avrei sbagliato. Nel senso che se dicevo giusto o lecito facevo trapelare un giudizio omnicomprensivo e qualsiasi di voi avrebbe potuto rispondere: "ognuno fa quello che vuole e suona quel che crede". Ed è così: ognuno è liberissimo di suonare la musica che ama.
Io mi ponevo dei problemi, delle seghe mentali, sulla naturelazza con la quale oggi si fa questa scelta. Per me suonare la musica di un altro paese e cantare in un'altra lingua dovrebbe essere più che lecito ma non normale.

E' vero che i gruppi bianchi anglosassoni si sono rifatti al blues dei neri americani. Ma nonostante le differenze di pronuncia Robert Johnson e Mick Jagger parlano la stessa lingua. L'unitarismo culturale è dato dalla lingua, con tutte le sue declinazioni. Si dice cultura francocanadese o angloamericana piuttosto che ispanoamericana. E' logico che tra paesi che hanno la stessa lingua ci siano degli scambi. I Bluesman cantavano nella lingua che veniva dall'inghilterra con strumenti che venivano dall'inghilterra e si è mischiata con generi che venivano dall'inghilterra.

La lingua latina era dell'impero. Mi verrebbe da dire che il rock in questa maniera è parte di un imperialismo culturale.

Il problema non è la passione per la musica estera ma la passione di massa per una musica estera. Se in Giappone c'è qualche decina di giapponesi che cantano lo yodel non c'è nessun problema. Chissà però quante culture locali sono andate e andranno perdute perchè tutti i giovani di certe aree se si devono interessare alla musica si interessano al rock.

Per concludere lascio la parola ad un mio padre spirituale forse l'unico.


http://www.youtube.com/watch?v=jbrwKy52bYM


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 13:48
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
In realtà il discorso è così complesso che risulta difficile affrontarlo in un post, anche solo superficialmente. Il primo aspetto che mi vien da considerare è sicuramente la diffusione mondiale della lingua inglese che di fatto è diventata LA lingua internazionale. Il secondo è che il mercato della musica è fortemente condizionato da acquirenti che parlano Inglese: a tutt'oggi infatti la maggior parte delle vendite avvengono negli States, e teniamo a mente che si tratta di uno stato grande quanto un continente, e perciò dalle potenzialità ben più importanti che non quelle italiane. Il terzo è che i media più determinanti sono tutti in Inglese o ammiccano a quella lingua nelle recensioni e nella pubblicità. Ci sarebbero mille altre considerazioni di natura sociale, politica, economica, culturale e perfino di attitudine psicologica, ma mi fermo perché il discorso rischierebbe di diventare noioso. Vorrei però esprimere qualche mio pensiero a ruota libera, così come viene. Non mi sento di avallare il campanilismo musicale che vorrebbe mettere dei limiti all'espressione musicale degli artisti. Juxta modum, come direbbero i latini, e cioè limitatamente alla questione di principio. La musica internazionale di una certa levatura sta ormai da anni annorum predicando le contaminazioni etniche come unica via per rinnovarsi, e sta di fatto creando un trend che finirà abbastanza verosimilmente per uniformare le espressioni musicali in tutto il globo. Quando perciò parliamo di cultura "italiana", a cosa ci riferiamo esattamente? Alla tradizione del melodramma, alla canzone popolare, ai cosiddetti cantautori o a cos'altro? Non c'è forse in questo il pericolo di creare degli schemi che diverrebbero assolutamente vincolanti e perciò limitanti? E poi, un musicista cosa dovrebbe fare per seguire questa esigenza? mettersi a scrivere pezzi che non verrebbero dalla sua creatività istintiva o abitudinaria che sia, ma sempre sua, per studiare le tradizioni ed inserirsi in esse in modo forzoso? Non credo sia questa la via da seguire! C'è però il problema lingua... un giorno mi sentii dire da Alexis Korner: "You have to write in your own language if you wanna write fluently", e, se la frase non fosse venuta da lui, avrebbe provocato una semplice alzata di spalle... ma era da LUI che veniva, e confesso che la cosa mi mise un po' in crisi. Il Blues è un lessico ormai divenuto internazionale, e non è più ad esclusivo appannaggio degli afroamericani, ma, personalizzato e modificato da artisti e culture diversi, è oggi diffuso in tutto il mondo. Noi tutti, in qualsiasi nazione viviamo, possiamo condividere un lessico che non è nato dalla e nella nostra cultura, ma che abbiamo fatto nostro per sensibilità, scelta e gusto. Ma non possiamo dire la stessa cosa per la lingua inglese. Ed è vero che perfino cantanti indonesiane come Anggun hanno potuto raggiungere fama mondiale solo perché hanno cantato in Inglese, ma è anche vero che non tutti noi autori locali possiamo ambire ad un pubblico così vasto. E allora? Non ho risposte in tasca da esibire orgogliosamente, ma condivido invece il disagio che questo tema sottolinea. La realtà nuda e cruda, per certi versi perfino spietata, è che anche chi non ha una band dedicata ad altri artisti, finisce in un certo qual modo per divenire "tribute" di una cultura e di una abitudine. Chi suona e soprattutto canta si immedesima non in un solo personaggio da imitare ma in un complesso di miti che aleggiano nella sua mente come in quella di chi ascolta. Cantare in Italiano mette fortemente a nudo ciò che si dice, mette in mostra chi sei e non chi cerchi di essere. Una frase sciocca come "Baby I wanna love you tonight" può tranquillamente passare in Inglese, ma diventa inaccettabile in Italiano perchè tutti ne comprendono smaccatamente la pochezza. Poi ci sono le questioni legate al ritmo: l'Italiano è ricchissimo di parole piane e sdrucciole (accento che cade sulla penultima o terzultima sillaba) mentre è povero di parole tronche, e questo per testi fondati sul 4/4 provoca indubbie difficoltà. L'Inglese è sicuramente più sintetico dell'Italiano, e permette di dire in un solo verso cose che altrimenti esigerebbero molto più spazio. Ma sono fondamentalmente degli alibi: le difficoltà sono oggettive, ma non insuperabili, e se continuiamo a scrivere in Inglese è per motivi assolutamente diversi. Personalmente ho fatto dei pezzi nella mia lingua, e i risultati non sono stati poi così disastrosi (qualche festival l'ho pure vinto), ma diciamolo chiaramente: a scrivere in Italiano ci si fa un culo così!!! Conclusione: continuerò a scrivere in Inglese perché mi piace, perché ci sono abituato, perché cerco di dare un senso a ciò che compongo anche se non è la mia lingua, perché ritmicamente risulta più adatto alla musica che faccio. Ma mi riprometto almeno di provare a scrivere di nuovo qualcosa nel mio idioma, se non altro per rispettare il consiglio di Alexis. E gli altri? Ai posteri l'ardua sentenza!


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 14:24
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
Innanzi tutto Papa ti ringrazio moltissimo per il tuo intervento. (non avrei la stessa reverenza per Papa Ratzingher).

Il discorso si fa interessante e complesso. Cerco di esprimere anche io qualche concetto sparso.

Voglio prima di tutto ribadire che rispetto ogni scelta artistica e ritengo che ognuno possa fare quello che crede e suonare quello che gli pare. E' altrettanto lecito che chi propone un prodotto accetti le critiche (mi riferisco alla discussione sugli WINES che avendo criticato, mi sembra di essere il cattivo della situazione perchè non in accordo con il coro unanime di consensi).

Quello che dici mi sembra tutto sensato.

La lingua inglese è universale
Il mercato è anglofono.
I media sono anglofili.
ecc ecc

Queste considerazioni giustissime avvalorano la mia tesi o meglio quella di De Andrè. Trattasi di imperialismo culturale. Sia chiaro io amo il rock e il blues, sono di certo tra le mie musiche preferite. Ma da lì ad essere gli unici ascolti e gli unici modelli a cui rifarsi per suonare ce ne passa. Ovvero io non contesto la scelta individuale ma il fatto che intere porzioni di popolozioni europee e non solo siano solamente orientate verso l'"Angloamerica".

La questione delle tradizioni italiane. Beh ma cosa hanno fatto i capostipeti del folk revival e del blues revival in america ma anche in Inghilterra? Hanno salvato interi patrimoni (penso a Lomax, Seeger, Guthrie ma anche Ewan Mc Coll, Alexis Korner, ecc) della cultura angloamericana e guarda cosa ne è uscito. E' stato grazie ai puristi del folk americano e a quelli del folk inglesi che è pututo nascere il nuovo: il folk rock, l'acid folk, ecc. Per assurdo senza i puristi che fischiarono Dylan a Newport non ci sarebbe stato Dylan. Perchè per creare, innovare, bisogna salvare gli ingredienti da mischiare.
Lo stesso è capitato in Inghilterra: senza il folk ortodosso non ci sarebbero stati i Fairport Convenction. E nel blues: senza Alexis Korner niente Stones. Senza l'attenzione di entità come la Libreria del Congresso o lo Smithsonian Institute per il blues e per le musiche popolari non sarebbe mai nato il rock'n roll. Se è in area angloamericana che è accorsa la più grande rivoluzione musicale del 900 è perchè in quei paesi le culture popolari hanno dignità e vengono rispettate. A quel punto, una volta salvate e catalogate, arriva il nuovo, le creazioni, i Velvet Underground o i Grateful Dead.

La contaminazione etnica come ben sa chi è fan di Brian è una questione nata negli anni 60 ma che ha radici negli anni 50 (certe registrazioni filologiche di musica afroamericana avevano più di un connotato africano). Ci hanno fatto credere che la World music sia un'invenzione di Peter Gabriel degli anni 80 ma non è così. Comunque oggi siamo nel 2010. Sono 50 anni che contaminiamo. Il rischio come giustamente dicevi tu è che si tenda a creare una sorta di "musica contaminata globale" a quel punto veramente omologata in cui c'è un pizzico di India un pizzico di Africa e un pizzico di Cina. E a quel punto non avendo più gli ingredienti singoli ma solo la torta fatta non potremmo più mischiare ma solo mangiare la sbobba. Resta da vedere se l'ingrediente americano risultasse essere l'ingrediente al 90 percento. Oltre al danno la beffa: infondo è prevedibile che in una globalizzazione musicale non tutte le musiche concorrano parimenti ma qualcuna prevalga, è anche facile pensare quale.

Provo orrore a sapere che i cinesi in massa (parliamo di cifre a 6 zeri) suonano i pianoforti e abbandonano i loro strumenti tradizionali.

Provo orrore a sapere chein giappone la musica tradizionale è abbandonata per quella occidentale.

E provo orrore pensare che le cose andranno sempre peggio.

Quindi io capisco la questione di Alexis. Il punto è che se uno fa blues come te o Zac a mio modo di vedere fa bene a cantare in inglese perchè giustamente noti come l'italiano sia inadatto. La questione è che una maggiore presenza di musicisti italiani che preservano le tradizioni di musica popolare italiana e una maggiore presenza di musiciti che innovano e mescolano le tradizioni sarebbe gradita.

Non è nazionalismo cieco il mio. Non penso che la musica italiana debba dominare sulle altre come quella anglofona oggi. Il mio è un pensiero antimperialista o se credi meglio No Global. Vorrei che tutte le musiche sopravvivessero e avessero pari dignità e che nessuna cultura si ritenesse superiore alle altre e imponesse i propri stilemi. A me garbano le musiche del mondo. Ascolto musiche popolari di ogni parte del globo. Ed è giusto contaminare. Ho solo paura che scompaiano e non ci sia più nulla da mischiare in futuro.


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 14:37
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
Aggiungo una cosa: Dylan nella sua autobiografia dice che tra i musicisti più importanti nella sua formazione ci sono i New Lost City Ramblers di Mike Seeger. Ora i New Lost City Ramblers nei loro dischi non si esprimono, non sono artisti, non fanno "creazioni" ma si attengono agli schemi della tradizione e fanno calchi stilistici. Sono una sorta di ministero del patrimonio culturale. Ma senza di loro niente Highway 61 e Blonde on Blonde ovvero niente capolavori di avanguardia popolare.


Dopo de Andrè cito Guccini:

http://www.youtube.com/watch?v=rATcfXX8hwo


Una cultura senza radici non ha ali

Naturalmente Guccini e De Andrè faranno capire che la salvaguardia delle culture non c'entra nulla con il razzismo. E' l'esatto opposto


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 14:50
Avatar utenteMessaggi: 4404Località: CelleIscritto il: 18 settembre 2006, 13:04
Concordo in pieno con quanto detto dal papa, ma capisco anche il timore di Briano che vada perduto un patrimonio di musiche tradizionali.

La musica è un linguaggio, e va appreso da piccoli, o studiato successivamente, o tutt'e due, dipende molto dall'ambiente: al momento di comunicare verrà spontaneo utilizzare il linguaggio che ti ha dato più impulsi, vuoi perché il più diffuso o perchè più importante per te e quindi maggiormente frequentato.

Se in tua famiglia o in villaggio si canta e si suona una musica tradizionale sicuramente sarà più facile che questa si tramandi perché acquisita e continuata dalle generazioni successive.

Se io cresco senza sapere nulla della musica folk della mia regione, e improvvisamente la scopro e decido di dedicarmici perché mi piace, partirò comunque da zero, e dovrò affrontarla da "straniero", a quel punto avrei le stesse difficoltà ad apprendere e comprendere lo spiritual afroamericano, la tarantella, il trallalero o la musica tradizionale della mongolia.

Se riduciamo invece il discorso alla lingua usata per cantare, a me il rockandroll piace di più in inglese, se scrivo una canzone mi viene più spontaneo farlo in inglese... ho scritto anche in italiano, ma in questo momento è così.


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 15:18
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
Inoppugnabile ciò che dici, Briano, e pieno di buon senso. Ma la conclusione qual è? Posto che possiamo tutti condividere l'esigenza di sfuggire alla colonizzazione imperiale (un tempo avremmo detto "imperialista"), che fare per evitarla? Intendo dire: COSA diavolo possiamo fare noi di reale e concreto?? Suggerire agli autori di cercare altrove le loro fonti di ispirazione? e si può plausibilmente pensare che lo farebbero? Credo sia piuttosto fittizia l'illusione di poter parlare a tutti gli artisti italiani presenti e futuri, così come il diffondere un supposto "verbo" che generi un seguire generazionale, non trovi? Spesso succede di confondere l'analisi di un problema o di una situazione con la sua soluzione, ma ahimè non è assolutamente la stessa cosa... Attenzione, perché la tradizione italiana, per esempio, non è rappresentata da Tiziano Ferro o dalla Pausini, e ancora meno da Zucchero o da Vasco! Dovremmo forse andare verso Eugenio Bennato, la compianta Gabriella Ferri o artisti ancor meno popolari per trovarne traccia. Il resto è tutta una contaminazione più o meno evidente se non addirittura una imitazione tout court, a volte perfino una parodia! E si badi che la cosa è cominciata fin dagli insospettabili anni '30: il Trio Lescano era una riedizione locale delle Andrews Sisters, Rabagliatti e Latilla facevano il verso ai crooner americani, Carosone e Buscaglione avevano punti di riferimento evidentissimi nella tradizione delle piccole orchestre jazz americane, e poi giù agli anni '50 con le imitazioni di Elvis (Bobby Solo, Little Tony, Celentano e perfino Giorgio Gaber e Jannacci), ai '60 in cui si arrivò a conoscere i successi d'oltre Manica e d'oltre Oceano prima nelle versioni italiane che non gli originali... e i famosi cantautori degli anni '70, quanto hanno attinto da Dylan da Seeger da Cohen ecc. ecc.? Intendo dire: dov'è questa tradizione italiana? Non basta mica avere dei testi nella nostra lingua per poter appartenere alla cosiddetta tradizione nazionale! Il tema, come si vede, non è così semplice da affrontare, perché non stiamo parlando di un solo aspetto, e cioè quello linguistico, ma della necessità (a mio avviso emotiva) di conservare delle tradizioni che non stanno assolutamente lì dove le abbiamo pensate. Io non sono in grado di dire come vanno le cose in Cina o in qualsiasi altra remota parte del mondo, ma temo che le cose non siano molto diverse nella sostanza, forse lo saranno nei tempi, ma neanche più di tanto in fondo. E poi diciamolo schiettamente: ora come ora stiamo assistendo ad una forte crisi creativa a livello globale, e non c'è più nessuno in grado di convincere pienamente con la propria arte...


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 15:21
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
Zac concordo in tutto. Il punto è che forse in Indonesia (per fare un es) sarebbe più logico e qui dico anche giusto che i bambini imparassero insieme alla loro lingua anche la loro musica. Se invece vengono educati con la musica angloamericana con la quale sentono naturale esprimersi, beh il relativismo culturale va a ramengo.


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 15:39
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
Hai ragione Papa ma non dobbiamo fare l'errore di confondere popolare con pop. Popolare nel senso italiano quello che in inglese si direbbe folk. E pop nel senso di musica leggera.
Ora gli artisti che citi sono quasi tutti pop in senso lato.
Io parlo di tradizioni vere ma anche di repertorio autoriale inerente alla tradizione.
Faccio un esempio:
I gruppi hillbilly degli anni 30 registrati da Lomax sono folk
I New Lost City Ramblers fanno folk per salvare il patrimonio culturale
Il Dylan dei primi 3 dischi è interno alla tradizione seppur creando canzoni nuove
Il Dylan della trilogia elettrica esce dal solco della tradizione (facendo a mio gusto i dischi migliori)

Anche in italia
la musica del salento è musica folk
un nuovo gruppo salentino che fa musica tradizionale è folk
Vinicio Capossela che integra elementi folk fa musica autoriale

E così via dicendo. Le cose non hanno confini certi. Ma tu mi insegni che non è che siccome non c'è una linea netta tra blues rurale e blues cittadino significa che tra Patton e i Led Zeppelin non c'è differenza ed è sempre blues.

Qualche valle sopra la mia c'è la musica occitana che è bellissima, ha strumenti propri come la ghironda. Non vedo perchè tante band del nord ovest (band credibili, artistiche, innovative, che finiscono nella storia) non usino in massa oggi e nel futuro certi stilemi e certi strumenti.


Io sono pessimista. Non ho una soluzione e penso che andremmo verso una globalizzazione totale. Anzi penso che quella economica sia per motivi materiali più scongiurabile di quella culturale.

Ma io direi che forse bisognerebbe cambiare l'educazione non convincere gli artisti. Il punto è dare autorevolezza e diffusione a certe nostre musiche. Incentivi anche economici e spazi mediatici e sociali. Non penso che occorra tirare per la giacchetta Ruggeri e dirgli cosa deve fare. Forse sarebbe più naturale che in ogni posto fosse familiare l'espressione musicale di quel luogo.


Oggi in italia domina il liscio che esattamente come certo country sclerotizzato di Nashville è la parodia della musica folk. E questo concorre almeno in italia a vedere con gli occhi dello snob la fisarmonica piuttosto che certi stilemi musicali.


Poi non è vero che i cantautori dei 60-70 si rifacevano solo a Dylan o a Cohen. Ma a parte la scuola francese c'era anche molta italia. Guccini con la Locomotiva fa come Dylan con Blowin in the wind: un pezzo autoriale completamente addentro alla tradizione folk della propria cultura. De andrè di Creuza de ma canta nel dialetto della sua terra. Poi contamina con gli strumenti del mediterraneo: ed è un'ottima cosa visto che è un disco autoriale. La cultura è miscelamento. Ma ripeto, se non esistono più gli ingredienti cosa mischiamo.

Non mi stupisco che ci troviamo in un empasse creativo da anni.


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 15:59
Avatar utenteMessaggi: 185Località: Paese (TV)Iscritto il: 29 gennaio 2007, 1:18
Ovviamente ho dovuto semplificare i miei interventi per non scrivere troppo prolissamente, ed è per questo che ho citato alcuni nomi per tralasciarne altri, ed ho mescolato correnti diverse perché così sono viste nel comune sentire popolare. Da come scrivi capisco che sei persona di cultura e non ami le scorciatoie, ed hai perfettamente ragione nella tua esigenza di precisione, ma... non ti pare che la discussione abbia rivelato ben altro rispetto al punto di partenza? Da una questione linguistica che sembrava avere il maggior peso, siamo passati all'esaminare la valenza di alcuni modelli musicali per arrivare alla presa di coscienza di fattori socio-economici globali e alla difesa dell'identità culturale locale... temini leggeri molto adatti ad una discussione in un forum, no?! :cool: :D Comunque meglio toccare argomenti che impediscono di essere esaustivi per la loro complessità che andare a parlare di sciocchezze anche se non prive di fascino pure queste! ;)


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 16:04
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
Hai ragionissima. Per me abbiamo fatto vedere i pro e contro. E secondo me abbiamo fatto vedere quanto non sia scontata la norma esterofila. E' un piacere Papa.


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 16:17
Avatar utenteMessaggi: 4404Località: CelleIscritto il: 18 settembre 2006, 13:04
Dimenticavo, grazie Briano per avere aperto il topic, e con questo titolo azzeccato


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 16:19
Messaggi: 1247Iscritto il: 11 giugno 2008, 19:39
ah ah ah grazie a te Zac di avermi dato retta! E' un piacere anche con te


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MessaggioInviato: 3 dicembre 2009, 16:40
Messaggi: 4076Località: SALERNOIscritto il: 5 maggio 2008, 23:29
...Che poi Carosone, come anche Buscaglione, sono stati dei grandissimi, che in Italia hanno aperto...Una porta...


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