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Indice  ~  Get Off Of My Cloud  ~  Depeche Mode

MessaggioInviato: 27 ottobre 2008, 13:10
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Ora rischio grosso.
Su invito di alcuni Roadie,andai al Forum a vederli.
Beh rimasi molto colpito dai suoni dalla batteria (che teneva su tutto) e dalla voce e grinta del cantante.
Naturalmente il genere dista galassie da quello che ho nel cuore,ma comunque fu una bellissima serata.
In particolar modo la risposta del pubblico fu meravigliosa tanto che il DVD poi pubblicato i Depeche Mode lo registrarono proprio li.

Visto che da oggi sono in vendita i tickets per S Siro e non sono poi così cari,beh ve li consiglio un gran bello spettacolo.
E ora via alla fucilazione sono pronto.


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MessaggioInviato: 27 ottobre 2008, 13:18
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
18 giugno Milano, Stadio San Siro
Prato 42 euro + prevendita
1° Anello Rosso Numerato 55 euro + prevendita
2° Anello Rosso Numerato 45 euro + prevendita
1° Anello Verde Numerato 42 euro + prevendita
1° Anello Blu Numerato 42 euro + prevendita
2° Anello Verde Non Numerato 36 euro + prevendita
2° Anello Blu Non Numerato 36 euro + prevendita
3° Anello Non Numerato 32 euro + prevendita


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MessaggioInviato: 27 ottobre 2008, 21:10
Avatar utenteMessaggi: 4253Località: ladispoliromaitaliaeuropamondoIscritto il: 9 gennaio 2008, 22:17
io non ti fucilo :wink: :wink:


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MessaggioInviato: 27 ottobre 2008, 21:14
Avatar utenteMessaggi: 4750Iscritto il: 29 ottobre 2007, 20:25
nemmeno io...ma non perchè mi piacciono i Depeche Mode anzi sai dove potrebbero andare per me? :twisted: ma perchè mi sembri un tipo molto bravo... <)


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MessaggioInviato: 27 ottobre 2008, 21:18
Messaggi: 1832Iscritto il: 11 febbraio 2007, 4:36
io invece ti invito a presentarti alla Congregazione del Sant'Ufficio del Rock'n' Roll, dove, se non ritratterai, sotto tortura, sarai passato per la pena capitale.


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MessaggioInviato: 27 ottobre 2008, 22:45
Avatar utenteMessaggi: 2279Località: TORINOIscritto il: 12 luglio 2006, 20:04
neanch'io ti fucilo :D anche perchè piacciono molto anche a me!


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MessaggioInviato: 28 ottobre 2008, 10:19
Avatar utenteMessaggi: 3987Località: MilanoIscritto il: 23 marzo 2008, 12:49
Immaginavo la condnna di Totore,troppo purista.
Mai più ,giuro!!!!


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MessaggioInviato: 28 ottobre 2008, 10:43
Messaggi: 3369Iscritto il: 29 giugno 2007, 9:18
Io ti fucilo, anche se odio le armi e sono contro la guerra e sono antimilitarista, e sono un purista stoniano incallito, pero' sei una brava persona e se vuoi andare a vedere i DM, saranno cazzi tuoi o no?

Sei forte...

ROSSO57


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MessaggioInviato: 28 ottobre 2008, 10:44
Messaggi: 3369Iscritto il: 29 giugno 2007, 9:18
Ho sbagliato tutto, TI FUCILO E BASTA.....AH AH AH AH AH!!!!!!


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MessaggioInviato: 29 ottobre 2008, 0:20
Messaggi: 25Iscritto il: 19 agosto 2006, 18:56
Ragazzi,

forse è una curiosa coincidenza, ma i DM -assieme a Stones e Pink Floyd- sono uno dei pochi gruppi in grado di regalarmi delle sensazioni.

All'indomani dell'uscita di "Playing The Angel", avevo scritto un pezzo.

Lo stesso accadde quando venne pubblicato il DVD "Live in Milan".

Li ripropongo qui sotto, perché mi hanno insegnato che fare le cose da soli non è sempre divertente. Ergo, se proprio, almeno ci fucilano in due...

Ciao,
Chris

---

DEPECHE MODE, PLAYING THE ANGEL: UN FARO DIGITALE NELLA NOTTE DELLA MUSICA

Nel 1981 spuntarono quasi di soppiatto, figli di esperienze musicali borderline come i No Romance in China e i Composition Of Sound. Pionieri incoscienti, nel fiore dei loro vent’anni, si avventurarono arditamente sul campo disseminato di mine dai guastatori della disco, per mostrare alle masse la possibilità di una via d’uscita da quel guano. Una corsia d’emergenza rappresentata da serenate tra il synth pop e la new wave (indimenticabile, tra tutte, “Just Can’t Get Enough”).

Ventiquattro anni dopo, rimasti in tre, i Depeche Mode sono ancora al loro posto. Quanto gli basta per autoproclamarsi futuri eredi, in termini di longevità, dei Rolling Stones. La loro “mission” non è cambiata di una virgola: dispensano sempre degli ottimi consigli sulla direzione da prendere per un’esperienza musicale poco convenzionale, lontana dai canoni della banalità ed intrisa di quella contaminazione che, per troppi, rimane ancora un’operazione commerciale, più che uno stato d’animo.

In questo senso, il nuovo album “Playing The Angel” (in uscita su Mute il 14 ottobre) è un potente faro digitale, a rischiarare un universo non più tormentato dai neon sgargianti dello Studio 54 e dagli strip club sulla 42a strada, ma da finti profeti e da false sirene. Gahan, Gore e Fletcher, che non entravano assieme in uno studio dal 2001, nel frattempo hanno varcato la quarantina, trovando, grazie alla capacità di uno sguardo più disilluso e maturo, nuove frecce da scoccare (significativo, al riguardo, l’esordio come compositore, in un album targato Depeche, di Dave, autore di “I Want It All”, “Suffer Well” e “Nothing’s Impossible”).

Non a caso, uno degli episodi più interessanti del cd è “John The Revelator”, violenta dissacrazione di un imbonitore di folle. Uno capace di raccontare, magari da un pulpito catodico, “sette bugie, moltiplicate per sette, ed ancora per sette” e in grado di “causare solo dolore”. La soluzione? “E’ ora di ridimensionarlo / Prendiamolo per mano / mettiamolo su un banco / e sentiamo i suoi alibi”. Il tutto, sullo sfondo plumbeo/decadente, impreziosito da effetti e rumori, diventato marchio di fabbrica della ditta da “Violator”, che in “Playing The Angel” raggiunge una dimensione ancor più raffinata e consistente.

Detto del falso profeta, ecco la sirena. Il suo nome, per Gahan e compagni, è “Lillian”. Non è dato sapere di cosa sia colpevole, ma per spingere i Depeche Mode ad occuparsi di affari di cuore deve averla fatta grossa. Ed infatti, la risposta arriva subito, sulle ali di un trascinante uptempo: “guarda cos’hai combinato / mi hai spogliato il cuore / lo hai ridotto in brandelli / per puro divertimento”. Peraltro, qualcosa che non andava c’era già dall’inizio, visto che “avrei dovuto saperlo / che ognuno dei tuoi vestiti / era come una pistola carica”.

Però, a quarant’anni si è anche meravigliosamente consapevoli che tra il bianco e il nero esistono mille sfumature di grigio. I Depeche Mode non fanno eccezione, per cui ecco lo sguardo ottimistico di “Nothing’s Impossibile” (“anche le stelle sembrano più luminose stanotte / nulla è impossibile”), che recupera le atmosfere musicali degli esordi. Allo stesso modo, Gahan sa bene che il passato è indelebile, come i tatuaggi sul suo corpo, e nell’ossessiva “The Sinner In Me” canta “mi sto riprendendo / sto uscendo dalle sofferenze / più noto per la mia rabbia / che per qualsiasi altra cosa”, mentre la chitarra di Gore diventa lo scalpello che imprime le parole nella mente di chi ascolta.

Nell’insieme, le dodici tracce di “Playing The Angel” (al primo singolo, l’inconfondibile “Precious”, seguirà tra poco “A Pain That I’m Used To”, brano di apertura dell’album) fanno del nuovo capitolo della discografia dei Depeche Mode uno di quei dischi che è meglio avere sullo scaffale (anche per esperimenti come lo strumentale “Introspectre” e per l’ermetica “Macrovision”). In attesa che il tour in partenza il prossimo 13 gennaio faccia tappa in Italia. Per vedere con i propri occhi la luce del faro spegnere la notte della musica.



---

DEPECHE MODE, MERAVIGLIOSAMENTE "LIVE IN MILAN"

Al tramonto del 1980, il loro esordio venne salutato dall'interrogativo, universale all'esterno della cerchia degli adepti, "ma dove cavolo vanno 'sti qua?".

Ventisei anni dopo, con identica domanda a riguardare le sorti del mondo tutto, i Depeche Mode, grazie al dvd "Live in Milan" uscito ieri su Mute, rappresentano l’unico decoder sul mercato in grado di decrittare, e restituirci in impareggiabile nitidezza, diversi segnali diffusi non da un satellite, ma da un presente che la nostra civiltà non è più in grado di leggere.

Anzitutto, che i tre britannici costituiscono la miglior eredità auspicabile di quella stagione fuorigiri, fatta di aperitivi infiniti, di week-end senza nottate e di regole dimenticate ancor prima di averle apprese. Una decade(nza) in cui alla musica toccava far da placebo per coscienze bruciate (oltretutto, consapevoli di esserlo). Il mondo è marcio? Noi lo stiamo aiutando a deragliare? Ma va là, senti la radio, tutta canzoncine allegre, a lieto fine, di cantanti fotomodelli e per bene. Gente come Gazebo, Baltimora, Sandy Marton e, per i maschietti, quella salutista di Samantha Fox. Vorrai mica che in una società popolata da tali soggetti possa esistere davvero qualcosa di sbagliato? Non pagheresti da bere a tizi così? Tutti si tranquillizzavano e alzavano le autoradio delle Golf blu con la righina rossa, finché un giorno loro non hanno opposto alla squallida fiaba di cellulosa un plumbeo "Never let me down again" e il mondo ha aperto gli occhi, iniziando ad avvertire quello scricchiolio che tutti negavano vicendevolmente, mentre buttavano giù un altro Martini.

Una presa di coscienza che nel dvd testimonianza delle due serate ad Assago, nello scorso febbraio, assurge a penultimo atto di una liturgia da ventun brani, piovendo sui fedeli convenuti non come l'invocata assoluzione, ma quale penitenza per non aver colto il monito. Prendere o lasciare, i Depeche Mode 2006 sono così: icona del tempo sprecato, come gli aggettivi e i sostantivi sui display alle loro spalle durante lo show, ma al tempo stesso testimoni di un oggi nervoso ed esasperato, scandito dalle cifre di un inviolabile timecode e dai balzi nevrotici di un frontman che porta sulla sua pelle i segni di una tribolazione di quelle da spegnere il respiro, poiché impossibile da condividere con chicchessia.

Un sentimento che quel maestro della decomposizione dell'immagine di nome Blue Leach ha perpetuato con una regia tra le più intrusive al mondo, in perenne ricerca di immagini televisivamente borderline (come quelle a sottolineare gli acuti di Gahan in "Walking In My Shoes", oppure le saturazioni di rosso che macchiano a sangue il video in vari frangenti del concerto), frutto di un apparato tecnologico d’avanguardia, che la dice lunga sul peso specifico rivestito dalla band oggi come oggi. Per non dire poi degli sconfinamenti in bianco e nero, del ricorso ripetuto (e nervoso) allo slow motion nel seguire gli attimi più fisici dell'esibizione, nonché della fuga costante delle camere verso un punto di prospettiva aleatorio quanto una puntata alle tre campanelle. Soluzioni fastidiose a un occhio disattento, perché proposet a ritmo sostenuto, ma tali da costituire la colonna vertebrale dell’intero lavoro. Senza di esse, "Live In Milan" non camminerebbe, né riuscirebbe (come invece fa) a portare l'esperienza video live ad un altro livello.

Insomma, un vero e proprio manuale su come trasporre in video "pain and suffering" - gli ingredienti dell'ultimo album del gruppo (dal quale vengono eseguiti hits come "Precious", ma anche affascinanti gogne musicali stile "John The Revelator") - rasentando il risveglio della conseguente sensazione fisica in chi guarda dalla poltrona. Un livello di coinvolgimento, e di fedele resa dell'atmosfera di isteria e delirio collettivi nel palazzetto (esiste chi pagò 400 Euro un biglietto da uno zero in meno), conquistato anche grazie all'irrefrenabile impulsività dell'io musicale della formazione, Martin L. Gore, fulmineo nel lasciar scivolare dal palco intuizioni blues (vedi "Personal Jesus") e altre trovate distoniche da angelo del male di nero alato.

In sostanza, uno sguardo senza convenzioni sulla dimensione live di una band che, con lavori video quali "One Night In Paris", non aveva ancora trovato una rappresentazione idonea del suo potenziale scenico. Completano il cofanetto (per chi scegliesse la deluxe edition) un secondo dvd di bonus (dall'epk dell'ultimo cd, all'annuncio del tour, passando per un'intervista ad Anton Corbjin sul making del video per Suffer Well), nonché un audio cd contenente otto tracce dagli show meneghini. Certo, più ce n'è, meglio è, ma state certi che basteranno le due ore di concerto per farvi invocare il perdono per non esservi tenuti a distanza da quei luccicanti bar happy hour ventisei anni fa.

Christian Diemoz


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MessaggioInviato: 29 ottobre 2008, 17:26
Avatar utenteMessaggi: 2486Iscritto il: 23 giugno 2006, 1:46
Nel 84-85 lavoravo a Milano ed avevo accesso incondizionato gratuito alle aree dei concerti e naturalmente nei back stage.
Fu così che una sera, non avendo di meglio da fare, andai a vedere i Depeche Mode al teatro tenda Lampugnano.
Mi sorbii 2 ore di heavy metal, convinto che stesse suonando il gruppo spalla (stavano suonando i Maryllion se non ricordo male).
In realtà i Depeche Mode suonarono il giorno dopo.
Vai con gli insulti, li accetto senza ribattere...
Sici :D :D


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MessaggioInviato: 29 ottobre 2008, 18:03
Avatar utenteMessaggi: 2966Località: Lamezia TermeIscritto il: 16 febbraio 2007, 19:51
sici ha scritto:
Vai con gli insulti, li accetto senza ribattere...
Sici :D :D

Terun!
:twisted:


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MessaggioInviato: 29 ottobre 2008, 18:27
Avatar utenteMessaggi: 430Località: VaresottoIscritto il: 6 luglio 2006, 13:11
stavo facendo un pensierino con amici se andare a san siro a vederli...

2 anni fa eravamo andati a Locarno, in Swiss, dove si esibirono all'interno del Moon & Stars festival... la sera prima che gli Stones erano a San Siro :lol:


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MessaggioInviato: 31 ottobre 2008, 15:14
Avatar utenteMessaggi: 179Località: romaIscritto il: 11 maggio 2006, 15:52
Chris73 ha scritto:
Ragazzi,

forse è una curiosa coincidenza, ma i DM -assieme a Stones e Pink Floyd- sono uno dei pochi gruppi in grado di regalarmi delle sensazioni.

All'indomani dell'uscita di "Playing The Angel", avevo scritto un pezzo.

Lo stesso accadde quando venne pubblicato il DVD "Live in Milan".

Li ripropongo qui sotto, perché mi hanno insegnato che fare le cose da soli non è sempre divertente. Ergo, se proprio, almeno ci fucilano in due...

Ciao,
Chris

---

DEPECHE MODE, PLAYING THE ANGEL: UN FARO DIGITALE NELLA NOTTE DELLA MUSICA

Nel 1981 spuntarono quasi di soppiatto, figli di esperienze musicali borderline come i No Romance in China e i Composition Of Sound. Pionieri incoscienti, nel fiore dei loro vent’anni, si avventurarono arditamente sul campo disseminato di mine dai guastatori della disco, per mostrare alle masse la possibilità di una via d’uscita da quel guano. Una corsia d’emergenza rappresentata da serenate tra il synth pop e la new wave (indimenticabile, tra tutte, “Just Can’t Get Enough”).

Ventiquattro anni dopo, rimasti in tre, i Depeche Mode sono ancora al loro posto. Quanto gli basta per autoproclamarsi futuri eredi, in termini di longevità, dei Rolling Stones. La loro “mission” non è cambiata di una virgola: dispensano sempre degli ottimi consigli sulla direzione da prendere per un’esperienza musicale poco convenzionale, lontana dai canoni della banalità ed intrisa di quella contaminazione che, per troppi, rimane ancora un’operazione commerciale, più che uno stato d’animo.

In questo senso, il nuovo album “Playing The Angel” (in uscita su Mute il 14 ottobre) è un potente faro digitale, a rischiarare un universo non più tormentato dai neon sgargianti dello Studio 54 e dagli strip club sulla 42a strada, ma da finti profeti e da false sirene. Gahan, Gore e Fletcher, che non entravano assieme in uno studio dal 2001, nel frattempo hanno varcato la quarantina, trovando, grazie alla capacità di uno sguardo più disilluso e maturo, nuove frecce da scoccare (significativo, al riguardo, l’esordio come compositore, in un album targato Depeche, di Dave, autore di “I Want It All”, “Suffer Well” e “Nothing’s Impossible”).

Non a caso, uno degli episodi più interessanti del cd è “John The Revelator”, violenta dissacrazione di un imbonitore di folle. Uno capace di raccontare, magari da un pulpito catodico, “sette bugie, moltiplicate per sette, ed ancora per sette” e in grado di “causare solo dolore”. La soluzione? “E’ ora di ridimensionarlo / Prendiamolo per mano / mettiamolo su un banco / e sentiamo i suoi alibi”. Il tutto, sullo sfondo plumbeo/decadente, impreziosito da effetti e rumori, diventato marchio di fabbrica della ditta da “Violator”, che in “Playing The Angel” raggiunge una dimensione ancor più raffinata e consistente.

Detto del falso profeta, ecco la sirena. Il suo nome, per Gahan e compagni, è “Lillian”. Non è dato sapere di cosa sia colpevole, ma per spingere i Depeche Mode ad occuparsi di affari di cuore deve averla fatta grossa. Ed infatti, la risposta arriva subito, sulle ali di un trascinante uptempo: “guarda cos’hai combinato / mi hai spogliato il cuore / lo hai ridotto in brandelli / per puro divertimento”. Peraltro, qualcosa che non andava c’era già dall’inizio, visto che “avrei dovuto saperlo / che ognuno dei tuoi vestiti / era come una pistola carica”.

Però, a quarant’anni si è anche meravigliosamente consapevoli che tra il bianco e il nero esistono mille sfumature di grigio. I Depeche Mode non fanno eccezione, per cui ecco lo sguardo ottimistico di “Nothing’s Impossibile” (“anche le stelle sembrano più luminose stanotte / nulla è impossibile”), che recupera le atmosfere musicali degli esordi. Allo stesso modo, Gahan sa bene che il passato è indelebile, come i tatuaggi sul suo corpo, e nell’ossessiva “The Sinner In Me” canta “mi sto riprendendo / sto uscendo dalle sofferenze / più noto per la mia rabbia / che per qualsiasi altra cosa”, mentre la chitarra di Gore diventa lo scalpello che imprime le parole nella mente di chi ascolta.

Nell’insieme, le dodici tracce di “Playing The Angel” (al primo singolo, l’inconfondibile “Precious”, seguirà tra poco “A Pain That I’m Used To”, brano di apertura dell’album) fanno del nuovo capitolo della discografia dei Depeche Mode uno di quei dischi che è meglio avere sullo scaffale (anche per esperimenti come lo strumentale “Introspectre” e per l’ermetica “Macrovision”). In attesa che il tour in partenza il prossimo 13 gennaio faccia tappa in Italia. Per vedere con i propri occhi la luce del faro spegnere la notte della musica.



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DEPECHE MODE, MERAVIGLIOSAMENTE "LIVE IN MILAN"

Al tramonto del 1980, il loro esordio venne salutato dall'interrogativo, universale all'esterno della cerchia degli adepti, "ma dove cavolo vanno 'sti qua?".

Ventisei anni dopo, con identica domanda a riguardare le sorti del mondo tutto, i Depeche Mode, grazie al dvd "Live in Milan" uscito ieri su Mute, rappresentano l’unico decoder sul mercato in grado di decrittare, e restituirci in impareggiabile nitidezza, diversi segnali diffusi non da un satellite, ma da un presente che la nostra civiltà non è più in grado di leggere.

Anzitutto, che i tre britannici costituiscono la miglior eredità auspicabile di quella stagione fuorigiri, fatta di aperitivi infiniti, di week-end senza nottate e di regole dimenticate ancor prima di averle apprese. Una decade(nza) in cui alla musica toccava far da placebo per coscienze bruciate (oltretutto, consapevoli di esserlo). Il mondo è marcio? Noi lo stiamo aiutando a deragliare? Ma va là, senti la radio, tutta canzoncine allegre, a lieto fine, di cantanti fotomodelli e per bene. Gente come Gazebo, Baltimora, Sandy Marton e, per i maschietti, quella salutista di Samantha Fox. Vorrai mica che in una società popolata da tali soggetti possa esistere davvero qualcosa di sbagliato? Non pagheresti da bere a tizi così? Tutti si tranquillizzavano e alzavano le autoradio delle Golf blu con la righina rossa, finché un giorno loro non hanno opposto alla squallida fiaba di cellulosa un plumbeo "Never let me down again" e il mondo ha aperto gli occhi, iniziando ad avvertire quello scricchiolio che tutti negavano vicendevolmente, mentre buttavano giù un altro Martini.

Una presa di coscienza che nel dvd testimonianza delle due serate ad Assago, nello scorso febbraio, assurge a penultimo atto di una liturgia da ventun brani, piovendo sui fedeli convenuti non come l'invocata assoluzione, ma quale penitenza per non aver colto il monito. Prendere o lasciare, i Depeche Mode 2006 sono così: icona del tempo sprecato, come gli aggettivi e i sostantivi sui display alle loro spalle durante lo show, ma al tempo stesso testimoni di un oggi nervoso ed esasperato, scandito dalle cifre di un inviolabile timecode e dai balzi nevrotici di un frontman che porta sulla sua pelle i segni di una tribolazione di quelle da spegnere il respiro, poiché impossibile da condividere con chicchessia.

Un sentimento che quel maestro della decomposizione dell'immagine di nome Blue Leach ha perpetuato con una regia tra le più intrusive al mondo, in perenne ricerca di immagini televisivamente borderline (come quelle a sottolineare gli acuti di Gahan in "Walking In My Shoes", oppure le saturazioni di rosso che macchiano a sangue il video in vari frangenti del concerto), frutto di un apparato tecnologico d’avanguardia, che la dice lunga sul peso specifico rivestito dalla band oggi come oggi. Per non dire poi degli sconfinamenti in bianco e nero, del ricorso ripetuto (e nervoso) allo slow motion nel seguire gli attimi più fisici dell'esibizione, nonché della fuga costante delle camere verso un punto di prospettiva aleatorio quanto una puntata alle tre campanelle. Soluzioni fastidiose a un occhio disattento, perché proposet a ritmo sostenuto, ma tali da costituire la colonna vertebrale dell’intero lavoro. Senza di esse, "Live In Milan" non camminerebbe, né riuscirebbe (come invece fa) a portare l'esperienza video live ad un altro livello.

Insomma, un vero e proprio manuale su come trasporre in video "pain and suffering" - gli ingredienti dell'ultimo album del gruppo (dal quale vengono eseguiti hits come "Precious", ma anche affascinanti gogne musicali stile "John The Revelator") - rasentando il risveglio della conseguente sensazione fisica in chi guarda dalla poltrona. Un livello di coinvolgimento, e di fedele resa dell'atmosfera di isteria e delirio collettivi nel palazzetto (esiste chi pagò 400 Euro un biglietto da uno zero in meno), conquistato anche grazie all'irrefrenabile impulsività dell'io musicale della formazione, Martin L. Gore, fulmineo nel lasciar scivolare dal palco intuizioni blues (vedi "Personal Jesus") e altre trovate distoniche da angelo del male di nero alato.

In sostanza, uno sguardo senza convenzioni sulla dimensione live di una band che, con lavori video quali "One Night In Paris", non aveva ancora trovato una rappresentazione idonea del suo potenziale scenico. Completano il cofanetto (per chi scegliesse la deluxe edition) un secondo dvd di bonus (dall'epk dell'ultimo cd, all'annuncio del tour, passando per un'intervista ad Anton Corbjin sul making del video per Suffer Well), nonché un audio cd contenente otto tracce dagli show meneghini. Certo, più ce n'è, meglio è, ma state certi che basteranno le due ore di concerto per farvi invocare il perdono per non esservi tenuti a distanza da quei luccicanti bar happy hour ventisei anni fa.

Christian Diemoz

letto tutto 8) bello...anche a me i depeche piacciono molto.
ho già comprato i biglietti x lo stadio olimpico...nel 2006 li ho visti dalla tribuna ma nn si vedeva na mazza..però gran bel concerto...<questanno prato però>.....


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