Messaggi: 1250Località: milanIscritto il: 26 luglio 2006, 11:09 |
l corriere della sera di ieri...
Note vietate Agenzia di Stato per promuovere la musica nera
Cuba, in cella il punk che attacca i Castro
Mentre il regime si fa sponsor dei rapper
Se solo Che Guevara avesse saputo ballare, oggi lo farebbe sulle rime di un rap. Perché è questo, e non quello rabbioso del punk, il ritmo su cui la rivoluzione cubana ha deciso di fare la sua danza. Una danza ingiusta, come raccontano due storie che s' incrociano per le strade dell' Avana. La prima ha la voce e i piercing di Gorki Águila, leader del gruppo punk Porno para Ricardo. Cinque giorni fa, mentre stava completando il nuovo disco, la polizia castrista l' ha arrestato per «pericolosità pre-criminale». Un capo d' accusa che permette di incarcerare qualcuno fino a 4 anni, senza prove: e infatti nessuno ha finora formalizzato le imputazioni a carico di Gorki. Che peraltro conosce bene le sue «colpe»: aver dato voce e note alla protesta anti-castrista. Con testi come «Basta frottole, vecchio», o «Ho perso la paura: sono già stato in carcere, e mi rimangono ancora un po' di ossa». Verso, questo, che allude al precedente processo contro di lui, avvenuto 5 anni fa, proprio quando un video aveva spinto i Porno para Ricardo tra i gruppi più noti di Cuba. «Traffico di droga», sentenziò un giudice dopo 10 minuti di processo e prima di due anni di carcere. Ma Gorki e compagni (di gruppo) non si sono piegati. Anzi. «Non possiamo fare concerti né vendere dischi, il nostro studio di registrazione è foderato di scatole di uova recuperate al mercato. E passiamo più tempo in caserma che a suonare. Ma suoniamo», aveva detto. Ieri la sua band, sfidando la polizia, ha tenuto un concerto. Perché, spiegano, «l' unica colpa di Gorki è quella di aver i coyones per denunciare la tirannia e i suoi trucchi». Parole dirette a Fidel e Raul Castro. Ma anche alla loro politica musicale, che punta sul nuovo strumento del socialismo - il rap - e sulla sua madrina - Nehanda Abiodun. La sua è una vicenda particolare, a cominciare dal nome. Nehanda nasce Cheri Dalton, 58 anni fa, negli Usa. E lì diventa una delle più arrabbiate attiviste dei New Afrikans, gruppo estremista che punta all' instaurazione di uno stato di soli neri. Pochi anni dopo, la teoria diventa prassi: e Cheri entra nel gruppo «Black August» - che promuove la musica rap - e nella «Famiglia», una banda criminale che si finanzia a suon di rapine. Una di esse, nel 1981, si conclude con tre morti. Per Cheri è l' inizio della clandestinità: finché, 9 anni più tardi, sfugge all' Fbi sbarcando all' Avana col nuovo nome di Nehanda, e la nuova veste di guru di giovani che da lei ascoltano i racconti su Malcom X, «United Snakes («serpenti»)of America» e la musica rap. «Quel genere, per me, è la continuazione della lotta», spiega. E a pensarla come lei è anche il regime. Che nel ' 90 ha dichiarato il rap «espressione autentica della cultura cubana», e 9 anni dopo ha creato la Agencia cubana de rap, che dà ai cantanti un festival, una casa discografica, un magazine. Il tutto a patto che nei testi si parli di un' unica ingiustizia: quella degli Usa contro Cuba. «Portiamo al pubblico temi importanti», spiega Nehanda al New Statesman prima di definirsi «guerriera per la libertà, come Mandela». Anche se a finire in cella come il leader sudafricano, anche questa volta, non è stata lei, ma qualcun altro.
Casati Davide
Pagina 17
(29 agosto 2008) - Corriere della Sera
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