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MessaggioInviato: 25 novembre 2006, 18:50
Messaggi: 25Iscritto il: 19 agosto 2006, 18:56
Ragazzi,

due anime erranti (e scriventi) che si incontrano, nello stesso negozio di dischi, e iniziano a rotolare assieme. Per raccontare una storia, quella della colonna sonora delle loro vite. A tempo di Del Papa & Diemoz.

Ciao,
Chris

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OLTRE GLI STONES?

La sera del 18 novembre, ammiccante come non mai sul palco della Boardwalk Hall di Atlantic City, metropoli regina del Tri-State, Mick Jagger ha salutato i fans giunti da New York, New Jersey, Philadelphia, Baltimora e Washington per l’ultimo show del tour “A Bigger Bang” sulla costa atlantica degli States. Tutto era iniziato da lì, alla fine di agosto del 2005, in un tempio del baseball di Boston. A chiudere definitivamente le danze sarà la performance di Vancouver (il 25 novembre), mentre gli Usa hanno avuto diritto al loro ultimo walzer nella serata del 22, a Los Angeles.
A quel punto, le Pietre si caleranno nel vuoto pneumatico classico di ogni fine-tournée. Keith Richards e Mick Jagger, solidali con i metalmeccanici di tutto il mondo, voleranno verso l’isola di Mustique e la Jamaica, Charlie Watts sparirà dietro ai suoi pluri-premiati quadrupedi di razza “Halsdon Arabians” e Ronnie Wood si mimetizzerà nel paesaggio bucolico della County Kildare, dove la Guinness cresce direttamente sugli alberi, come i migliori frutti regalati da Madre Natura.
Occupazioni che si protrarranno finché il professore (di matematica) Michael Cohl suonerà la campanella, presumibilmente per l’estate 2007, richiamandoli all’ordine. In fondo, questi ragazzacci, hanno diritto a riposarsi. La tournée appena chiusa li ha visti infrangere record non riusciti in quarant'anni di carriera. Un risultato che diventa difficile anche solo pensare, figurarsi conseguirlo. I milioni di spettatori di Rio de Janeiro, la prima volta sul suolo cinese, l’incredibile sequenza di serate sold-out (a prezzi, per di più, da "Pronto Leasing"), le performance iper-intime al Radio City Music Hall e al Beacon Theatre di New York (con un emerito sconosciuto come Martin Scorsese a guidare la selva di telecamere disposte nel teatro per immortalare l’evento). Più che mai Stones, più che mai incontrastati sovrani dell’Olimpo rock (da loro creato). Ogni altro commento è superfluo.
Eppure, a voler andare a fondo, il tour seguito a un disco arrivato come un calcio nei gangli vitali a chi li dava per spacciati in studio, sta alla carriera degli Stones come il Vietnam alla storia degli Stati Uniti. In questi quasi diciotto mesi, alla banda rotolante, complice forse la renitenza a dare un’occhiata ogni mattina alla carta d’identità, ne sono accadute davvero tante, al punto da ricordare più la “Medjugorie Band”, che i padri del rock contemporaneo. Nell’ordine: l’incidente di Keith Richards alle isole Fiji; le morti di Art, fratello di Ronnie, e di Joe, padre di Mick; la caduta di Amet Erthegun nel backstage del Beacon.
A ciò va poi aggiunta, specie nell’ultimo leg americano, una performance musicale pregna di momenti d'oro. Tra gli infoiati di Internet circola una versione di “She’s So Cold” da chiamata immediata al “Telefono Azzurro”. Il cantato è del tutto svincolato dalla batteria, le ritmiche di chitarra sono azzardate (per usare un eufemismo) e l’assolo sembra provenire da una radio tenuta accesa accanto al palco, e non certo da uno dei musicisti che calca le assi inchiodate da Mark Fisher. Va bene che la suonano gli Stones, sicché agli occhi del mondo intero la Waterloo che varrebbe dozzine di pedate nel didietro a degli esordienti, si trasforma all’istante in iconografia rock, ma far finta di niente è davvero difficile.
Esercizi di osservazione che è giusto far finire su carta, non per istinto vessatorio, o per volontà delatoria, ma per la loro meravigliosa capacità di lasciar trasparire un elemento di riflessione a lungo trascurato (ma non trascurabile). A sessant’anni suonati, quando hai creato un genere, sopravvivendo al perbenismo del sistema cui l’hai sbattuto in faccia, agli eccessi di una vita a cinque stelle, alle insidie di chi ha provato in tutti i modi a sottrarti un marchio di fabbrica milionario, ad un mercato che ha perso la memoria, non hai più niente da dimostrare. Più niente. Chiunque, a quel punto, direbbe: “è meraviglioso, sei nella condizione migliore, puoi continuare per il solo fine di divertirti”.
Senz’altro, quantomeno limitandosi ad un’occhiata superficiale della situazione. Tuttavia, il tour “A Bigger Bang”, ma soprattutto i suoi annessi e connessi, sono lì a dimostrare dell’altro. Quando inizi a divertirti (ammesso che non sia vagamente ipocrita usare questo termine, nel momento in cui il tuo compenso viaggia dalle parti del milione e duecentomila Euro a serata), ti si para davanti il peggior nemico mai spuntato sul tuo cammino: te stesso. Proprio così. La tua immagine riflettuta nello stagno è quanto, mai come prima, potrebbe costarti cara, in grado com’è di spingerti quel mezzo metro più avanti, per guardarla meglio.
Il successo dei Rolling Stones è tale da avere costantemente affiancato la dimensione mondana a quella artistica. Da oltre quattro decenni la loro presenza, la loro essenza marcia di pari passo con la modernità più rutilante, con le “luci della ribalta”. Loro stessi sono luci violente, abbaglianti, un carrozzone sempre più acceso portato in giro per il mondo. Come nessun altro, gli Stones hanno condensato e moltiplicato l'elettricità del cosiddetto jet set, della bella vita, della bella gente da Warhol a Godard, da Nurejev a Kandinsji, da altre rockstar ad attori a modelle di fama, fino a Clinton e a Scorsese. Dire Stones è dire da 45 anni spettacolo al massimo livello il che significa inevitabilmente confuso nella nebulosa che miscela intattenimento potere e politica. Significa l'impatto dell'industria dello showbusiness in tutta la sua potenza, grandi jet, grandi hub (dove magari aleggia la musica degli Stones), grandi limousines, grandi hotel, grandi fiche e tutta la frenesia e l'eccitazione che condensa questa dimensione da ultimi dei dell'Olimpo.
In questo incanto perenne, in questa bolla dorata che resiste alle mode e le detta, le condiziona, è facilissimo perdere il senso delle proporzioni e continuare per inerzia, anche perchè gli Stones, come tutti quelli maledetti dal proprio talento, sono condannati a esercitarlo in eterno, hanno solo quello e senza quello muoiono. Prospettiva che giustamente sembra atterrirli. Non è possibile, non ha senso immaginare i Rolling Stones se non con la tensione spasmodica, l'isterica attività che li fa rimbalzare su e giù per il mondo, sballotati dal respiro possente della folla, frecce conficcate nel futuro che si fa presente. La quiete, la tranquillità, la riflessione non sono per loro, l'unica volta che ci hanno provato è stato un bagno di sangue che ha rischiato di travolgerli.
I Rolling Stones sono condannati da se stessi a andare avanti fin dal 1962, dai primi concerti parrocchiali e anche ora che sono scheletri oltre la morte. La parola “off” nel loro vocabolario non esiste, è stata bandita. Continuano a dispetto dei lutti, degli incidenti, delle malattie e per il pubblico che succhia il loro orgoglio rabbioso questo va bene: basta che ci siano, lì su un palco infinito, coi loro vestiti impossibili, le loro movenze feline, le loro facce sempre più accartocciate e il loro carisma inossidabile. Basta che escano dal cono d'ombra in un tuono da Walhalla mentre Keith attacca il suo primo accordo, scatenando la tempesta, l'ennesima replica del sabba per l'orgasmo collettivo, e poco importa quel che si sentirà o non si sentirà. Ma se davvero gli vogliamo bene, se qualcosa gli dobbiamo, non possiamo negare loro la franchezza che si deve agli amici miglioori; e la franchezza ci porta a dire che raramente, in quest'ultima scorribanda planetaria, le cose sul palco sono andate come dovevano. Che i veri Rolling Stones si sono sentiti solo a sprazzi, che la salute o la motivazione hanno giocato brutti scherzi, che Keith per tutto il tour, durato finora 15 mesi, ha ripetuto in ogni canzone di ogni concerto lo stesso identico riff, che Ron Wood a volte sta lì come un soprammobile, a volte si esalta, altre ancora non sa dove portare la sua chitarra. Che i supporter di lusso sono stati chiamati a riempire, a sorreggere troppe canzoni anziché limitarsi ad arricchirle. Che, in definitiva, a questa versione dei Rolling Stones sono mancati i Rolling Stones: c'era la frenesia, la grandezza, l'onda lunga della mondanità selvaggia, c'era tutto ma mancavano loro sul palco, la loro disinvoltura, la loro padronanza. Il pericolo.
E lo sanno benissimo, ma il rischio è che decidano di barare, continuando in eterno anche così, perchè alle platee di tutto il mondo vanno bene anche così.

Massimo Del Papa & Christian Diemoz


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MessaggioInviato: 25 novembre 2006, 19:37
Messaggi: 2319Località: siciliaIscritto il: 24 maggio 2006, 15:51
Giusto ieri chiacchieravo con una mia amica alla quale volevo regalare un libro (avevo scelto "Fiesta" di Hemingway) e lei mi diceva che invece voleva regalarmi "un libro di un tale che aveva il titolo uguale a quel CD che tieni sempre sul comodino"...
Il libro è Exile On Main Street di Massimo Del Papa,ed ora non vedo l'ora di averlo per le mani!!


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MessaggioInviato: 25 novembre 2006, 20:01
Avatar utenteMessaggi: 3012Località: TORINOIscritto il: 26 luglio 2006, 0:15
a noi basta averli, incerottati, malconci, stralunati, incidentati, ecc.
se no ci mancherebbero troppo
Time is on THEIR side..............


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MessaggioInviato: 25 novembre 2006, 22:13
Messaggi: 16Iscritto il: 21 novembre 2006, 18:01
melisenda ha scritto:
a noi basta averli, incerottati, malconci, stralunati, incidentati, ecc.
se no ci mancherebbero troppo
Time is on THEIR side..............


Giusto! Poi non sono d'accordo quasi mai su certi articoli da rassegna di stampa di musica classica. Un concerto rock è molto più di una esibizione musicale, o più di una mera esecuzione. I live che nella storia hanno lasciato il segno spesso sono pieni di errori, canzioni fuoritempo, assoli sbagliati... I Rolling sono il rock perchè sono genuini, personalmente non li vorrei diversamente.
E comunque, il giorno dopo del concerto dei Pearl Jam a Bologna qualcuno diceva che McCReady aveva sbagliato tanto perchè andava sopra le righe e suonava solo per divertirsi....questo è un errore????? No miei cari: Ron Wood e Mike MccReady (i miei idoli chitarristici a cui ho rubato 899 licks) sono 2 persone vere innamorate della musica, il resto si chiamano giornalisti


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MessaggioInviato: 25 novembre 2006, 23:38
Avatar utenteMessaggi: 3012Località: TORINOIscritto il: 26 luglio 2006, 0:15
giusto <) :lol: <)


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MessaggioInviato: 26 novembre 2006, 11:56
Messaggi: 330Località: milanoIscritto il: 22 novembre 2006, 22:06
secondo me non potranno fare tournees cosi mastodontiche,in futuro,quindi spero facciano tour nei clubs e arene


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MessaggioInviato: 26 novembre 2006, 23:38
Messaggi: 16Iscritto il: 21 novembre 2006, 18:01
bill75 ha scritto:
secondo me non potranno fare tournees cosi mastodontiche,in futuro,quindi spero facciano tour nei clubs e arene


penso sia una cosa interessante, mi preoccupo solo da fan che se li fanno nei club difficilmente troverò il modo di vederli


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MessaggioInviato: 27 novembre 2006, 0:37
Avatar utenteSite AdminMessaggi: 3974Località: MilanoIscritto il: 6 gennaio 2006, 23:20
bill75 ha scritto:
secondo me non potranno fare tournees cosi mastodontiche,in futuro,quindi spero facciano tour nei clubs e arene

oh finalmente qualcuno che la pensa come me!
basta stadi


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MessaggioInviato: 27 novembre 2006, 11:10
Messaggi: 455Iscritto il: 12 giugno 2006, 9:45
<)

Al bando le chiacchiere dei giornalisti che vogliono soltanto che si levino dalle balle ma dovranno attendere ancora molto . Noi gli Stones li vogliamo e basta. Vecchi, logori, sballati, fuori di testa ma cosi' immensi e pieni di carisma. iRRAGGIUNGIBILI!!!!!!!!!!!

grandi stones, vi aspettiamo e vi ameremo per sempre


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MessaggioInviato: 27 novembre 2006, 12:35
Avatar utenteMessaggi: 3012Località: TORINOIscritto il: 26 luglio 2006, 0:15
ovviamente sono d'accordo <) quando li rivedemo <) :?: :?:


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MessaggioInviato: 2 dicembre 2006, 17:22
Messaggi: 2142Località: trevisoIscritto il: 24 febbraio 2006, 0:28
Che noiosi e deprimenti questi giornalisti,secondo loro se uno non muore di overdose,non gli sparano o non diventa grasso e pelato è ridicolo perchè continua a suonare e a calcare i palcoscenici.Ma poi perchè prendersela sempre e solo con gli Stones, mi risultano altri arzilli sessantenni in tour,tipo Bob Dylan che di anni ne ha 65,Robert Plant,Eric Clapton,perfino B.B.King.Cos'è,invidia perchè riescono ancora a tenere il palco come nessun altro o perchè eguagliano se non superano l'affluenza ai concerti degli artisti più giovani?Le morti e gli incidenti sono casualità,capitate durante un tour lunghissimo che resterà nella storia anche per la loro resistenza a portarlo avanti,scusate se è poco.Grazie Stones per farci sognare ancora,LONG LIVE STONES.


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MessaggioInviato: 2 dicembre 2006, 18:23
Avatar utenteMessaggi: 3012Località: TORINOIscritto il: 26 luglio 2006, 0:15
alla faccia dei denigratori, nel 2007 TORNANO tra noi :P <)
prepariamoci a raggiungerli :lol:
coraggio, siamo già a dicembreeeeeeeeeeeeeeeeeeeee <) <) <)


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MessaggioInviato: 5 dicembre 2006, 10:37
Messaggi: 455Iscritto il: 12 giugno 2006, 9:45
<)

pienamente d'accordo con penny. La differenza tra gli Stones e gli altri è che loro sul palco sono immensi e sprigionano energia e potenza come quando avevano 20anni, gli altri sono a dir poco patetici, grassi, molli, noiosi e fanno dormire (a parte Eric Clapton che adoro e che è naturalmnete uno stoniano anche lui) .


Chi deve andare a casa secondo voi?

STONES ON THE ROAD FOR EVER!!!!!!!!!!!!LUNGA VITA AI RE


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MessaggioInviato: 5 dicembre 2006, 13:38
Avatar utenteMessaggi: 3012Località: TORINOIscritto il: 26 luglio 2006, 0:15
of course........... :roll: :lol: :P <) <) <) <) <) <)


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MessaggioInviato: 5 dicembre 2006, 15:40
Messaggi: 455Iscritto il: 12 giugno 2006, 9:45
<)

Gli Stones sono come una poesia nel cuore nei primi giorni di primavera, sono come una carezza romantica e crudele, sono come un sorriso appena accennato, dolcissimo e amaro, allo stesso tempo, sono oltre il confine del nostro cuore.

dedico queste frasi alla dolcissima Melisenda, grande stoniana di ferro come piace a me


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